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Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Lager Lechfeld, ovest di Monaco di Baviera: è questo il nome di uno dei molti campi di concentramento in cui sono stati deportati i soldati italiani fatti prigionieri dopo la disfatta di Caporetto. È qui che Mario Bosisio lotta ogni giorno contro freddo e fame ingegnandosi per sopravvivere.
Una splendida mattina di domenica, ci chiamarono a raccolta, e, a mezzo dell’interprete, chiesero a chi si sentisse di lavorare, di fare un passo avanti. Tutti ci precipitammo avanti disordinatamente, tanto che i tedeschi ci respinsero col bastone per rimetterci in rango. Il lavoro che ci dovevano dare lo si era saputo dall’interprete. Si trattava di andare in un campo li vicino per rimuovere il terreno già coltivato a patate e con raccolto già fatto, i tedeschi volevano dare una altra passata perché c’era molta probabilità di trovarne ancora.
Ecco il motivo per il quale noi avevamo voglia di lavorare. Erano le gustose kartoffel, come li chiavano i tedeschi, che ci attiravano. Ne scelsero una cinquantina, compresi noi manigoldi. Si passò sotto una buona scorta di sentinelle, armate di fucili, con baionetta in canna. Eravamo armati anche noi. Avevamo badili, picconi! Che contentezza! Nei campi c’era sempre la neve e la terra era molto dura per il gelo. Si doveva lavorare di piccone, e quando la punta di questo entrava nel terreno eravamo trascinati a terra per la poca forza che ci reggeva sulle gambe. Si proseguiva sostenuti ancora dalla speranza ….Movendo il badile, venivano a fior di terra molte patate che mettevamo nei sacchi o nelle ceste di vimini che già erano collocate sul posto. Mentre si lavorava, di quelle piccole si faceva una sola boccata. Mangiare le patate crude, al palato era sgradevole, ma la smania di masticare qualcosa era tanta che andavano giù lo stesso.
Tutti indistintamente avevano forata la tasca interna della giacca e una buona parte delle kartoffel erano andate a finire nel fondo della giubba per tutta la circonferenza del corpo.
I tedeschi avevano visto le nostre mosse ma avevano lasciato fare, e noi eravamo contenti pensando che in baracca le avremmo cucinate e poi introdotte nelle nostre povere pancette semivuote. Ma ritornanti all’accampamento ci misero tutti in lunga fila e due soldati ci fecero la perquisizione. Dovemmo levare le giacche che rovesciarono; le belle e care patatine ritornarono nella neve gelata. L’interprete scrisse su di un taccuino il nome di ognuno, e prima di congedarci i due tedeschi ci regalarono quattro pugni. I nostri compagni che avevano assistito allo spettacolo dal trattenersi dal ridere a crepapelle, ed ognuno di noi che entrava in baracca doveva subire motteggio continuo. Oltre il lavoro faticoso ed i pugni dei tedeschi, avevamo anche lo scherno dei nostri compagni, che per fortuna non erano stati scelti. Scornati di tale avventura, non avevamo parola per difenderci. E non sapendo cosa fare ci sdraiammo sul legno duro a contemplare il soffitto in aspettativa del rancio meschino.
Il viaggio
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