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Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Lager Lechfeld, ovest di Monaco di Baviera: così scorre la vita dei prigionieri italiani della Prima Guerra Mondiale.
I molti giorni trascorsi in questa prigione non avevano potuto operare un mutamento profondo e radicale nei nostri animi, ma avevano però servito a creare un’atmosfera, se non concorede, almeno più calma e disciplinata. La distribuzione del pane al mattino era per noi l’avvenimento più importante della giornata. La ripartizione del pagnottone in dieci parti fatta da un capo squadra avveniva con un accordo ormai quasi perfetto… Ero molto contento d’essere stato eletto anch’io a tale carica onorifica… Tagliate le razioni con occhio destro e scrupoloso, si cercava di togliere le piccole eventuali differenze mediante una piccola bilancetta di nostra fabbricazione. Consisteva in un pezzo di legno conico, sottile, lungo non più di trenta centimetri, avente nella parte centrale una piccola funicella che serviva da braccio e alle due estremità un’altra piccola cordicella di dieci centimetri allacciata ad un cuneo di legno appuntito. Si infilavano le punte nella mollica del pane, ed aggiungendo o togliendo dei pezzetti si cercava il peso uguale. Finita l’operazione del peso (guai se si fosse cercato di fare camorra) si allineavano le porzioni su un asse in un piattello di carta. A fianco si ponevano dei piccoli cartoncini numerati fino la dieci. Si prendevano altri dieci foglietti di carta ugualmente numerati e si mettevano piegati in quattro in un cappello. E qui il lettore certo immaginerà di leggere la conclusione con l’estrazione dei numeri. Invece noi, per aver diritto alla pesca del numero si doveva essere vincitori del gioco delle dita. Questa lungaggine ci permetteva di ingannare un po’ il tempo e la fame. Ed ecco in che consisteva il gioco: disposti in circolo si buttavano in avanti le dita della mano destra nel numero di nostro piacimento; poi il capo squadra fatta la somma delle dita distese, cominciando da lui contava intorno, fino al numero aggiudicato. L’indicato era il vincitore ed andava a pescare il numero della propria porzione. E così per eliminatoria fino alla fine. Ognuno se ne andava nel proprio angolo ben discosto dagli altri e non si metteva a mangiare prima di aver steso un pezzo di carta o di tela onde poter raccogliere tutte le bricciole che potevano cadere per terra.
Si divorava con occhi bestiali e guardinghi, temendo ancora che qualcuno non osservando, potesse giocarci il brutto tiro.
Sembrerebbe impossibile che un uomo possa addivenire ad uno stato più basso degli animali! Eppure eravamo diventati così! Eravamo tali nonostante che il pane era orribile. Basti dire che la mollica schiacciandola perdeva l’acqua, e la crosta aveva la superficie tutta cosparsa di crusca. Credo che inganni nella ripartizione non ne potevano esistere, eppure ognuno di noi aveva sempre qualche reclamo da fare.
Quale rancore si teneva per quel tale che ci sembrava avesse avuto la razione più abbondante. E tutti i giorni era la solita storia schifosa e ripugnante.
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