Mestieri
elettricistaLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, GermaniaData di partenza
1957Data di ritorno
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Luciano Giovanditti, emigrato pugliese, lavora come metalmeccanico in Germania. Nel grigiore della vita che conduce a Stoccarda, cerca consolazione e calore umano nelle case di tolleranza.
La Germania aveva bisogno di noi, noi avevamo bisogno della Germania. Per me, la Germania non fu soltanto un luogo per lavorare e guadagnare più denaro possibile, ma fu anche un luogo di incontro con tantissimi paesani e compaesani della stessa provincia, regione, e di tutta l’Italia. I nostri compari e conoscenti, quando seppero che io e mio padre ci trovavamo nei paraggi di Stuttgart, ci vennero a trovare per invitarci a passare qualche domenica insieme a loro. La lontananza dalle nostre famiglie moltiplicava per dieci la fratellanza tra di noi. Eravamo al corrente di tutto quello che succedeva nel nostro paese e di ognuno di noi che si trovava in Germania. Tra di noi era nato un servizio sociale improvvisato. Chi sapeva leggere e scrivere faceva lettere agli analfabeti, chi conosceva un po’ di tedesco si occupava delle scartoffie amministrative di tutti. La sera, tra di loro, si lasciavano andare anche a confidenze extra, ma tutto sommato era gente che non aveva niente da nascondere a parte qualche scappatella nelle case di tolleranza. Luogo dove i miei coetanei, una volta, mi hanno indotto. Ci sono andato per gioco, per piacere e per curiosità. I giovani mi raccontavano nei dettagli come facevano l’amore con le prostitute. La cosa suscitò in me una specie di curiosità. Qualche fantasma mi navigava nella testa. Pensavo: forse quel luogo può essere il posto giusto per affogarlo? Un giovane mi raccontò che la prima volta ch’era andato, era tanto emozionato che, quando la donna si tolse le mutandine, lui ebbe una eiaculazione prima ancora di penetrarla. Tutto questo mi faceva pensare all’astinenza. Ma più che all’astinenza, alla scarsa frequentazione dei giovani del Sud con le ragazze. Per qualcuno di loro, un corpo di donna nudo pronto ad offrirsi era il massimo che poteva sognare. E questo piacere, in Germania, se lo potevano offrire nelle case di tolleranza. Luoghi puliti, dove si vendeva l’amore per qualche marco. Ma la mia esperienza nella casa di tolleranza fu ben altra. La donna che avevo scelto, dopo essersi lavata e avermi lavato il sesso, si sdraiò sul lettino invitandomi a consumare. Su di lei, mi trovavo nel porto giusto ma sulla nave sbagliata. Facevo l’amore col corpo della donna. Avevo le mani appoggiate sul materassino, non sapevo dove metterle, dove ancorarmi. Piano piano facevo l’amore solo con l’ombra della donna, piano piano facevo l’amore senza la donna, la donna non c’era più. Piano piano, facevo l’amore nel vuoto, in un corpo vuoto di donna, facevo l’amore da solo, sotto gli occhi vuoti di una donna persa. Non riuscivo a seminare il vuoto. Mi sono alzato, disinnescandomi. La donna tornando dal suo universo disse. — Warum? – Nein, nein… – Warum?? – Je ne sais pas, je ne peux pas. Merci quand méme. Nella fretta di squagliarmela, mi ero messo a parlare francese. Mi sentivo goffo e impacciato. Lei sorrideva per sdrammatizzare la situazione. In qualche secondo mi ero vestito, e già pronto per uscire dal camerino. — Auf wiedersehen! – Oui, wiedersehen. Le risposi, cos’altro potevo dire. Addio forse? Non mi avrebbe capito lo stesso. Chiudendo la porta del camerino, ho avuto la stessa sensazione di piacere e di libertà di quando sono uscito fuori dal manicomio. I compagni che mi aspettavano nel corridoio mi chiesero come era andata. — Bene, mi sento bene. – Cos’altro potevo dire? Certo a loro potevo dire tutto, parlavamo lo stesso dialetto. Ma non ho detto niente, loro non sapevano della mia malattia di quando ero stato in Francia, e credevo che non ancora fosse né il momento né il luogo adatto per incominciare a raccontare tutto. Cosa potevo dire? Che l’amore è difficile concepirlo, difficile anche pensarlo se i sentimenti non si uniscono per farlo sbocciare. Se non c’è un po’ di coinvolgimento, l’amore può diventare odio, indifferenza. Ecco cosa mi era successo con quella donna nel postribolo: l’indifferenza. L’indifferenza che mi trasmetteva mi uccideva il sesso. Il sesso non rispose più all’appello del piacere, visto che piacere non c’era. C’era solo un buco vuoto, vuoto di sentimenti, ma pieno di ostilità, pieno di astio, pieno di sofferenza. Noi andavamo a riempire un vuoto pieno di sofferenza. Cosa potevo dire ai miei compagni? Che il mio amore era un acrobata che camminava sul filo della sensibilità? E che la donna aveva tagliato la rete di protezione quando stavo per volteggiare? Non dissi niente a loro, non volevo un altro soprannome, “Il Francese” mi bastava.
Il viaggio
Mestieri
elettricistaLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, GermaniaData di partenza
1957Data di ritorno
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Luciano Giovanditti
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