Mestieri
elettricistaLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, GermaniaData di partenza
1957Data di ritorno
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
ritornoTemi
ritornoSono trascorsi più di dieci anni da quando Luciano Giovanditti ha lasciato la Puglia per emigrare prima in Francia, poi in Germania in cerca di lavoro e di fortuna. Dopo i sacrifici e le sofferenze, è giunta l’ora di tornare a casa.
In Germania avevo cercato di combinare l’utile al dilettevole ma il tedesco non avevo potuto impararlo, nessuno si occupava di toglierci un po’ d’ignoranza di dosso. Il mio mondo andava così. Poi la sorte decise differentemente. In Italia, per la prima volta avevamo una casa. Certo, una casa non era la risoluzione, ma intanto l’affitto non dovevamo pagarlo più a nessuno. Una delle cause che ci aveva reso poveri in Francia fu, infatti, proprio l’affitto della casa, troppo alto in rapporto allo stipendio guadagnato. La morte allegorica o astratta o per errore o per incompetenza o per ignoranza, grottesca, insensata, pazzesca di mia madre, risuscitata all’improvviso sopra la scalinata, mi aveva fatto saltare i fusibili. La mia malattia non perdette tempo a ricomparire, ma non la feci ancorare. Conoscevo i meccanismi per sganciarla e la distanziai senza inconvenienti. Seppellito il nonno, io e mio padre dovevamo raggiungere la Germania, cosa che abbiamo fatto. Ma, scosso per gli eventi accaduti, decisi di rimpatriare il più presto possibile. Oramai, dentro di me, mettere qualche lira da parte per vivere e sopravvivere nello spavento non aveva più senso. Le spade di Damocle sulla testa, non merci, non le volevo più. L’Italia era cambiata, io ero cambiato, se dovevo affrontarla, questo era il momento. Emigrante per emigrante, farò l’emigrante in casa mia. Ma non era facile mettere piede in Italia, avevo i segugi ai calcagni che mi cercavano: dovevo andare a fare il servizio militare e mi trovavo già in ritardo con la mia classe. Dovevo partire, dovevo liberarmi di questa spada italiana sulla testa. Mio padre poteva far fronte da solo alla situazione economica della famiglia, così decisi di togliermi questo debito per accedere alla mia terra. Mio malgrado, dovevo andare contro corrente e contro ogni regola che mi ero imposto. Dovevo cercare di partire con la testa più vuota possibile. Allontanarmi senza preoccuparmi dei problemi famigliari ai quali ero tanto legato, e dai miei stessi presunti problemi, tra cui quello di voler costruire il mio avvenire. Con la mia gioventù, invidiata e rubata, era ora che mi rigirassi le tasche della giacca e del pantalone, per restituire l’ultimo marco e partire, per indossare una bella divisa, fatta sola di doveri. Pura pazzia? O saggia decisione? Dopo essermi licenziato e aver abbandonato mio padre al suo destino, tornai in Italia per affermarmi italiano, con tutte le carte in regole, con tutti gli onori, con tutte le stellette sulle spalle e sul collo della camicia da onorare. Sognavo, sognavo, sognavo come un giovane ingenuo può sognare, soprattutto
Il viaggio
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