Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media inferiorePaesi di emigrazione
AustraliaPeriodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Nel 1951, dopo gli anni della Seconda guerra mondiale, per Umberto Bencic inizia un nuovo capitolo di sofferenze. Perseguitato dai comunisti jugoslavi, viene recluso nell’isola carcere di Goli Otok.
Era veramente nuda l’isola Goli. Andammo uno dietro all’altro nel frastuono delle voci che migliaia di bocche espandevano nell’aria soffocata. Era caldo, senza un alito di vento, la sete bruciava le labbra. Andai ancora avanti accanto ad un magazzino raggiungendo un piccolo piazzale sempre vicino al mare. Ci spogliammo e fummo denudati di ogni pelo. Il sole intanto bruciava la pelle bianca, ci diedero ad ognuno un paio di pantaloncini, tutto si susseguiva con ritmo accelerato, fantastico, come se gli uomini si fossero tramutati in macchine per incanto e scattavano ad ogni parola ad ogni ordine, come automi spinti da una forza misteriosa. Quando fummo tutti ben sbarbati e con i pantaloncini addosso andammo di corsa lungo un reticolato, sopra un terreno roccioso e leggermente in salita. Solo allora apparve agli occhi di coloro che potevano conservare almeno un po’ di calma, lo spettacolo più meraviglioso che abbino mai visto. Era la più solenne delle cerimonie, il più maestoso ricevimento che gli uomini avessero preparato ai loro simili. Cinquemila giovani coperti dal berretto e dai pantaloncini, con le spalle e il petto bruciati dal sole, formavano un labirinto in un vasto piazzale, con una coda e due file che si perdeva lontano sulle colline di rocce. Non erano più canzoni e grida che rompevano l’aria, ma urla che facevano paura, UAA BANDA! UAA BANDA! Trentadue esseri pallidi e magri dalla denutrizione, dalla pelle bianca che non aveva visto il sole da tanti mesi correvano verso due ali di giovani urlanti dalla pelle di bronzo. Era la solennità più fantastica ed imponente che abbia conosciuta la storia. Quando i primi dei trentadue entrarono nelle file del labirinto umano furono colpiti nel viso e lungo tutto il corpo dalla saliva. Si correva investiti dalle urla e dalla saliva che colava come cera e che cercavamo di togliere dagli occhi, ora verso le colline, ora verso il mare, tra le fila serrate d’un labirinto umano. Correvo più degli altri, la mia vita era stata sempre una corsa senza traguardo. Ero partito con gli ultimi e mi trovavo quasi tra i primi. Bisognava correre e correre quanto più si poteva, risparmiando però un po’ di fiato per la strada che rimaneva ancora da percorrere, bisognava risparmiare un po’ di forze anche per i giorni che dovevano venire incerti ma che si profilavano terribili. Quando i primi del gruppo avevano passato il labirinto e si trovarono ai piedi delle gradinate che iniziavano la salita verso le colline, si trovarono ad uno ad uno tra le braccia di giovani vigorosi che asciugarono con vecchi stracci il viso ed il corpo dalla saliva. Poi comincio la vera accoglienza. Più di duemila giovani in due file di fronte aspettavano l’arrivo. Sembravano ansiosi come due ali di popolo in attesa di corridori ciclisti. Comincio la tragedia incredibile, che solo il fanatismo nel potere di coloro che odiavano tutto, con sé stessi, poteva creare. Correva il sangue sulla ghiaia imbiancata di fresco, il sangue che non trovava più posto sulla pelle dei poveri sfortunati. Correvano sotto i colpi, e cadevano per alzarsi o essere rialzati, per ricadere nuovamente, più cadevano più forte calavano i colpi. Non correva più nessuno, neanche io, sembrava che la mia vita sempre in corsa sia giunta al traguardo.
Mi trovai all’ombra di una baracca con gli occhi che non sembravano i miei, giravo lo sguardo intorno, non vedevo altro che corpi insanguinati, facce gonfie e rosse. Avevo ricevuto solo il benvenuto, nuovo ospite, nella nuova casa che per lunghi anni sarebbe stata la mia dimora, il migliore dei benvenuti che avessi mai ricevuto. Passo cosi anche l’anno 52, un anno triste della mia vita, un anno passato interamente sulle nude rocce di Goli. I ricordi della fine di quell’anno triste e disperato rimasero nascosti dietro una fitta nebbia. Potevo vedermi appena, appena nelle fila del coro, che un bravo maestro di musica dirigeva. Si cantava una sua composizione. Snaga nasa granit stenje. La forza nostra demolisce le rocce di granito, ma anche la canzone si perdette nel tempo della memoria.
Il viaggio
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