Mestieri
pedologoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
KazakistanData di partenza
1959Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Bruno Bertolaso, pedologo italiano, è appena arrivato in Kazakistan dove parteciperà a un progetto volto alla messa a cultura delle terre vergini.
Dopo 73 ore di viaggio nel vagone letto infestato dalle cimici, sbarcammo a Kustanaj, città, che dal momento della attuazione del progetto kruscioviano, per la messa a coltura delle terre vergini dell’Asia sovietica, era divenuta la capitale di un pionierismo, che presentava molte similitudini con il Far West americano dell’epoca d’oro. La città era cresciuta in fretta, ma in modo estremamente caotico, senza, pareva, un chiaro progetto urbanistico complessivo. Si costruiva ovunque e comunque e in periferia in assoluta assenza di una razionale urbanizzazione del territorio. La città era spesso attraversata da foltissime mandrie di bovini, dirette da mandriani a cavallo di magnifici animali, il traffico di ogni genere era caotico, le persone che si incrociavano erano delle più diverse razze. Ho accennato prima al Far West americano e devo dire che l’unica differenza con quel periodo epocale era la presenza di macchine di ogni tipo e la mancanza delle armi da fuoco dei pionieri, sostituite, peraltro, dai coltelli. La vodka scorreva a fiumi, specialmente durante i fine settimana e ciò contribuiva a scatenare risse gigantesche, che provocavano inevitabilmente un numero elevato di vittime, che, ogni sabato notte, facevano traboccare gli obitori della città. Il primo impatto con la città fu certamente negativo, anche se la situazione generale che si intravedeva nettamente appena messi giù i piedi dal treno, non ci sconvolse più di tanto, affamati, stanchi e sporchi come eravamo. lo ed il mio amico-collega vietnamita avevamo bisogno urgentissimo di una doccia bollente e di un pasto decente.
Di quest’ultimo in particolare, dal momento che eravamo partiti da Mosca, con il convincimento che il treno, viste la enormi distanze che si apprestava a coprire, fosse dotato di vagone ristorante. Invece no, niente vagone ristorante, niente che potessimo acquistare con i nostri rubli, di cui eravamo abbastanza largamente forniti. Nelle brevi fermate alle stazioni, le uniche cibarie che venivano offerte ai viaggiatori, da parte di volonterose massaie venditrici, erano solo e sempre patate bollite e fragoline di bosco! Salvo in un caso, nel quale potemmo mangiare al volo un ottimo borsc, accompagnato da pane di segale, ci siamo nutriti per tre giorni di patate e fragole, accompagnate dal tè bollente, che ci veniva fornito a caro prezzo dal conduttore del nostro vagone letto. Arrivati nella sede della Organizzazione del territorio agricolo di Kustanaj, la prima cosa che facemmo, dopo aver fatto la conoscenza con il coordinatore delle spedizioni di pedologi per tutto il territorio del Kustanaj, Vladimir Korobcenko, un giovane e simpatico ucraino, fu di precipitarci nel ristorante, che si trovava nei pressi degli uffici della Organizzazione e non badando molto alla modestia dell’arredamento ed al menù piuttosto limitato, ci affrettammo a coprire i buchi, che si erano formati nel nostro stomaco dopo tre giorni di patate e fragole. In attesa di partire per la spedizione pedologica sul campo, ci venne assegnata una camera nello stesso stabile, ove si trovava una parte degli uffici della Organizzazione, in una zona periferica di Kustanaj, tutta coinvolta dallo spirito edificatore della città. Ovunque si costruiva, specialmente per la popolazione immigrata, usando come materiale da costruzione, per i necessari tamponamenti delle case in costruzione, un mattone fatto di argilla impastata con paglia ed essiccato al sole!
La cosa ci colpì, ma non più di tanto, visto che tutte le case del circondario si erano avvalse del medesimo materiale, senza, ci pareva, particolari problemi, se non uno, come scoprimmo la prima sera, quando ci apprestammo a coricarci stanchi morti. I mattoni suddetti si erano dimostrati un perfetto nido biologico per le cimici, che, con l’oscurità, saltavano fuori a caccia di sangue umano, da ogni più piccola fessura degli approssimativi intonaci delle pareti! Ngai non fece una piega, mentre il sottoscritto all’idea di trovarsi nuovamente a combattere contro quegli schifosi insetti, era preso dalla sua prima crisi di disperazione! Dal momento che risultava impossibile adottare la strategia del treno, essendo necessario dormire la notte, per essere in forma il giorno dopo sul campo di spedizione, decisi su due piedi di rinunciare al comodo, ma infestato letto, stendendo il mio sacco a pelo su una scrivania dell’ufficio, scrivania sistemata nel bel mezzo di una grande stanza, decisione questa che mi consentiva, sia pure con una evidente scomodità, di tenere lontane le cimici assetate di sangue. Di questo fatto, che come dicevo in precedenza avrei combattuto per tutti i tre mesi di permanenza nelle terre vergini, non voglio più parlare, se non ricordando che durante i mesi di spedizione, quando spesso si dormiva in modo improvvisato nelle aziende agricole, (kolcos = azienda agricola cooperativa e/o sovcos = azienda agricola statale) ero costretto a rifiutare con estrema energia, senza peraltro riuscire sempre a convincere i compagni russi, l’unico letto disponibile, che come componente straniero dei gruppi di pedologi, mi veniva sempre, amorevolmente riservato, mentre tutti gli altri componenti le squadre di lavoro, dormivano per terra nei sacchi a pelo. Nei casi, in cui il mio rifiuto non approdava a niente, cercavo di dormire sulla schiena, onde evitare le punture delle cimici sulla faccia, lasciando il collo posteriore a loro disposizione e salvando in questo modo la fisionomia facciale.
A parte le tantissime scomodità, collegate inevitabilmente con la “conquista” alla razionalità di coltivazione delle terre della deserta steppa kasakstana, ricordo ancora, a distanza di tanti anni, le irripetibili esperienze fatte nella “zelinà”, (così si chiamano in russo le terre vergini), in un contesto estremamente selvaggio ed anche pericoloso, sia per le condizioni di lavoro, sia per la fauna umana, che si incontrava a quelle latitudini. Per onor del vero bisogna affermare, che a fianco dei delinquenti assolti sul campo, ma che delinquenti rimanevano, pur lavorando per la comunità, ho trovato e conosciuto persone magnifiche, uomini e donne veramente eroici, che credevano fermamente che la messa a coltura della steppa asiatica, avrebbe assicurato al loro Paese l’indipendenza dagli approvvigionamenti di cereali dei Paesi capitalisti, America e Canada in testa. Non mi è dato sapere se l’entusiasmo patriottico, che ardeva in loro in quei momenti, si sarebbe mantenuto nel tempo, è certo però che non ho mai sentito nessuno lamentarsi per tutti i problemi, che inevitabilmente nascono e si manifestano nelle particolari condizioni di lavoro in una terra di conquista. Ricordo al proposito la presenza di un gruppo di una trentina di estoni, giovani lavoratori, ragazzi e ragazze, che avevano abbandonato il lavoro e le comodità di casa, per venire a lavorare per quattro lunghissimi mesi nelle difficili condizioni della “zelinà”, alloggiati in vecchi vagoni ferroviari, con una vecchia cucina da campo militare, spesso senza vettovaglie, poiché, dopo un acquazzone, tutte le strade divenivano impraticabili anche per due/tre giorni, senza paga da tempo, poiché il funzionario che doveva portare i simbolici salari, non si capisce come, veniva sistematicamente rapinato (o almeno quella era la versione dei fatti che veniva data). Sempre allegri, organizzavano spettacolini, cori e bevendo un pallido tè cercavano di coprire i crampi della fame, quando le vettovaglie non arrivavano al campo. E come loro i gruppi di meccanici, che lavorando giorno e notte, cercavano di rendere funzionanti le macchine agricole ed i trattori, che servivano per la mietitura, spesso senza attrezzature adeguate e senza i necessari pezzi di ricambio, che cercavano di produrre nottetempo in officine improvvisate.
Il viaggio
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