Trattati come bestie

Quando arrivò il turno mio, a quello avanti a me il rappresentante canadese lo scrutinò ne più ne meno come quando il contadino compera un cavallo. Gli fece aprire la bocca e domandò se aveva tutti i denti, si fece mostrare le mani per assicurarsi che erano callose ed infine gli domandò che mestiere faceva, al che il poveretto umilmente rispose:

“Io non ho mestiere, lavoravo a giornata, dove mi chiamavano andavo, una volta alla vigna, una volta al bosco, una volta a vangare, insomma ero bracciante.”

“Bravo, bravo. Questo è quello che ci serve in Canada. Buone braccia.”

Lavorare sodo, quella era la parola giusta, dalla maniera come aveva parlato non c’era alcun dubbio al riguardo. Era la precisa indicazione di quello che pretendevano, quello che si aspettavano da noi al nostro arrivo in quella terra, ma siccome ero così ansioso, così desideroso di partire, di conoscere questo nuovo mondo, di scoprire nuovi orizzonti, nuove mete, la bramosia dell’avventura mi aveva soggiogato, mi aveva così ossessionato che se disgraziatamente per una qualsiasi ragione, io non sarei più potuto partire, credo che avrei impazzito, ecco perché non diedi alcun peso alle sue parole. Uscito l’altro mi feci avanti io. A voce alta lesse il mio nome mise il timbro sul passaporto e nel riconsegnarmelo s’alzò e stringendomi fortemente la mano mi disse:

“Partenza 25 Maggio. Nave Nea Hellas. Good by and good luck. Ciao”.

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