Mestieri
pittrice, insegnanteLivello di scolarizzazione
Accademia delle Belle ArtiPaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1960Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Il processo di adattamento di Maria Stuarda Varetti, in Somalia nel 1960 per amore di un uomo dal quale aspetta un bambino, procede speditamente.
Ancora estranea a tutto, mi possedevano un’ansia ed un’angoscia che non esternai mai a mio marito né ad altri. Ero inquieta in quella casa confortevole, accogliente anche se piccola e modesta, completamente isolata a quindici chilometri dalla linea dell’Equatore, in mezzo alla savana.
I primi tempi furono veramente molto faticosi. Terribili di silenzio, perché non potevo, non volevo parlare né lamentarmi con nessuno, neppure con me stessa. Ricordo soprattutto la sera, quando dovevo andare a letto, spesso senza luce. Il gruppo del nostro motore per l’elettricità veniva fermato alle nove.
Nella nostra camera tenevamo una piccola lampada a petrolio, di quelle chiamate fanus, proprio per non stare completamente al buio, immersi. La sera scendeva prestissimo e non c’era crepuscolo, era buio di colpo. Quando arrivai erano notti senza luna, notti infinite, spesse e dense come solo là ho visto. Un buio che quasi si materializzava. Scesa la sera, la giornata era completamente finita. Cenavamo, chiacchieravamo con i nostri operai; poi, per non consumare inutilmente l’energia, il motore veniva spento, quando non lo era già perché guasto, cosa che accadeva spessissimo. Andavamo a letto presto con il nostro lumino a petrolio e la mattina ci alzavamo prestissimo ed era bello levarsi, andare sulla porta di casa e scorgere in quella nebbiolina di umidità, che ancora aleggiava a filo d’erba, i tanti uccelli della fauna equatoriale: il pellicano, l’ibis, la spatola ed altri che si muovevano e camminavano.
Era uno spettacolo che ogni mattina si rinnovava, una realtà più bella di qualsiasi sogno. Quello era il momento magico della giornata, la mattina, era la speranza, ma io avevo dentro sempre quel nodo, la notte. La paura della notte, la paura del buio, di sentirmi sola in quell’infinito. Trascorreva così la mia giornata in piccole attività fra gente che veniva a salutarmi, ma subito dopo pranzo mi prendeva l’angoscia, l’ansia terribile che presto sarebbe venuto buio, quel buio che mi soffocava, perché era pieno di rumori inquietanti ed evocativi. Era tutta l’Africa intorno che si faceva sentire: dal tam-tam continuo, continuo, martellante, da una zona all’altra, da una notte all’altra, all’urlo di tutti gli animali.
Ed io, in quella casa in fondo fragilissima, senza neppure i vetri alle finestre, solo con persiane ed una retina contro le zanzare, forse le più pericolose di tutti gli animali della zona, mi sentivo molto esposta. Ed ero lì in attesa dell’elefante, del leone, che entrassero con la testa in camera. Notte dopo notte, con le orecchie tese. Con molta cautela – non volevo impensierire mio marito – chiedevo ad ogni rumore: “Che animale è questo? È la jena?” Non so perché la jena era quella che mi dava più inquietudine. Se gracidava una rana subito domandavo: “Scusa, ti pare di aver sentito una jena?” Mio marito mi orientava piano piano, diceva: “No, questo è l’ippopotamo; no, questo è un uccello; queste sono rane”. E poi finalmente: “Si, questa è la jena”. Allora finì la mia tensione: una volta individuato l’urlo lugubre della jena, sempre evocativo e sgradevole, improvvisamente mi tranquillizzai.
Cominciai a prendere confidenza con i rumori della notte, cominciai a prendere confidenza con l’Africa.
Il viaggio
Mestieri
pittrice, insegnanteLivello di scolarizzazione
Accademia delle Belle ArtiPaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1960Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Maria Stuarda Varetti
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