Mestieri
chimicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Israele, IranData di partenza
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Ettore Finzi, chimico ebreo nato a Trieste nel 1910, racconta i motivi che nel 1939 lo hanno spinto ad abbandonare la casa di Milano e l’Italia con la moglie Adelina Foà, a causa dell’emanazione delle leggi razziali.
Lasciai l’Italia nel marzo del ’39. Le stazioni erano già piene di soldati che si radunavano nelle caserme. Divise, divise e divise.
L’Italia nuova guerriera, vincitrice!
Avrei potuto essere uno dei tanti che si avviano muti ed obbedienti alle caserme, per poi proseguire inquadrato contro chissà chi.
Ma non c’ero perché ebreo. L’anti ebraismo ufficiale italiano furoreggiava in quel tempo e noi italiani ebrei eravamo calpestati, offesi, derisi o commiserati da tutti. La prima e grande colpa che Mussolini ci attribuiva era quella di essere tutti o apertamente o intimamente antifascisti e quindi anti italiani.
Le leggi contro di noi vennero formulate, votate, approvate ed eseguite. Nessuno ci difese: 44 milioni contro 40 mila. Eravamo stati fedeli cittadini, sinceramente patrioti, innamorati della nostra terra. Non un italiano, che prima era nostro fratello, nostro eguale, aprì bocca o scrisse un rigo per protestare contro una simile ingiustizia. Il primo cittadino d’Italia, quel Re V. E. III che aveva giurato fedeltà allo Statuto, al quale avevo giurato due volte fedeltà, prima come soldato poi come ufficiale, mi tradì nel modo più vergognoso, firmando quei decreti che trasformarono me e tutti i miei simili in esseri disgraziati, buttati in un angolo come un rifiuto del corpo umano.
Feci notare tutto questo ad un mio carissimo amico. Gli chiesi:
«Perché il popolo italiano permette tutto ciò?»
Mi rispose:
«Per impedire tali e altre cose bisognerebbe spargere del sangue, ciò non si può fare».
Per evitare spargimento di sangue il Re V. E. III non firmò il decreto di stato d’assedio che avrebbe permesso di stroncare nel ’22 una volta per sempre quella pagliacciata che fu la Riv. Fascista. Per paura di spargere sangue gli Italiani accettarono sempre più irragionevolmente la tirannia fascista. Per paura della polizia tacquero e applaudirono, marciarono e si vestirono della ridicola nera divisa di fascista, dal lattante con lo schioppo a tappo di sughero al professore d’Università sul capo brizzolato.
Fecero accoglienze trionfali al capo della barbara Germania, che venne ospitato regalmente al Quirinale. Tutti piegarono il capo, i vigliacchi, tutti, meno quei pochi che erano in prigione o al confino o fuorusciti all’estero.
Ed ora che l’Italia s’avvia a grandi passi verso la rovina, che l’Esercito si fa sconfiggere vergognosamente, che la flotta si comporta vigliaccamente, che l’aviazione impotente per macchine e uomini, dopo l’assassinio di Balbo, eroico bandito, si sfoga bombardando soltanto città e paesi indifesi, io dovrei finalmente gioire. Potrei essere contento che soltanto dopo poco più di un anno dall’ingiustizia, che sì tragicamente mi colpì, la sorte mi vendica ed il sangue italiano scorre non per una giusta battaglia ma per una volgare oppressione. Volevano picchiare ed invece furono picchiati! Che figura!
Ma il cuore invece mi piange. Leggo con tristezza sul nostro giornale le vittorie dei Greci e degli Inglesi. Sento alla radio parlare nelle diverse lingue in modo molto misero dell’Italia e degli Italiani.
Oggi più che mai si disprezzano gli Italiani!
I miei conoscenti, ebrei di varia provenienza, dimentichi che dopo tutto sono uno di loro, mi domandano sorridendo ironicamente:
«Cosa fanno i suoi Italiani?»
Alla posta, mentre esibisco una carta d’identità, l’impiegato legge il mio nome e mi chiede:
«Italiano?»
«Sì», rispondo a bassa voce. E lui di rimando, sorridendo:
«Maccaroni!»
Per lavare 20 anni di vigliaccheria ci vorrà molto sangue, ma non contro gli Albanesi o contro i Greci.
Saranno gli Italiani capaci di ritrovare il loro spirito eroico?
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