“Facce sbianche”

Il treno riparte e dopo pochi chilometri si ferma e con l’appello questa volta ci sono anch’io, scendono anche tutti quelli che mi avevano seguito compreso il ragazzino che ora non ricordo il suo nome. Con un mezzo di trasporto (una specie di pulmino) ci portano a destinazione, scarichiamo il nostro bagaglio e ci fanno entrare in un locale chiamato cantina (una specie di pensione) e dopo aver dato i documenti e le generalità richieste ci consegnano la stanza. Sistemiamo al meglio quel po’ di corredo che avevamo, poi scendiamo nuovamente al piano terra dove chi ci aveva già preceduto ci aspettavano desiderosi di sapere da quale parte fossimo giunti. I miei fratelli non si trovavano lì, Antonio a circa quindici chilometri, mentre Vittorio a qualche centinaio di metri che avrei raggiunto appena possibile ma seppi che in quel momento era al lavoro: faceva il turno pomeridiano. Incominciai a parlare col primo che mi ha interpellato, era un certo Ragni Mario di Acqualagna, mi confessò che erano diversi anni già che si trovava in Belgio e per quanto ho capito, non era più tornato in Italia soprattutto perché era passato diverso tempo e si vergognava anche perché gli erano svanite nel nulla quelle speranze che erano diventate soltanto delusioni.

Il primo contatto certamente non fu lusinghiero, vi erano delle facce sbianche, avvilite e stanche, pochi sorrisi, ma tutti pronti e a disposizione per qualsiasi nostro fabisogno. Ci chiama il gestore e disse di chiamarsi Gerard, proseguì nel dirci che il paese dove eravamo si chiamava Sant Albert e la società che noi dovevamo lavorare si chiamava Ressaix, qualcuno di voi lavorerà nella miniera che si trova qui di fronte, ma altri andranno in altre miniere, ma senza preoccuparsi perché un buon servizio di pulman vi porterà alle vostre destinazioni; io vengo mandato a lavorare nella miniera di Confestut. Dopo aver fatto anche altre raccomandazioni, ci ha congedato con un augurio di buona permanenza.