Mestieri
medicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BurundiData di partenza
2014Data di ritorno
2014Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il medico italiano Giuseppe Novelli è volontario in un ospedale del Burundi. Da alcuni giorni ha iniziato a collaborare con i colleghi africani.
Il capo ha informato tutti i collaboratori ed i religiosi che oggi in ospedale comando io.
Mi chiamano alle 9 per la paziente con infezione estesa di ferita.
Si medica. Mille occhi studiano ogni mio piccolo movimento.
Il mio collega congolese arriva in ospedale, delicato sempre con tutti e dolce nell’espressione, da indicazioni operative. Assieme visitiamo i pazienti critici. Ci chiamano per vedere una 31enne che ha partorito 2 gemelli pretermine. 1 feto morto, 1 in incubatrice. Lei defedata, disidratata e malnutrita. Non evidenza di addome acuto. Non segni di peritonismo. Emoglobina 5. All’ecografia liquido peritoneale tra le anse. Ascite. Non si opera.
Si percepisce chiaramente che il mio collega congolese vuole parlare con me, mi invita a fare due passi nel pomeriggio.
Il collega barundi fighetto è insopportabile ed ormai è chiaro che anche lui pensi lo stesso di me. La sua paziente oggi sta meglio. L’ha fatta rasare tutta, le ha messo un antibiotico. Sorride sornione.
Coglione, stavi per ammazzarla.
Quando lavoravo a Leeds, in UK, ho incontrato un bravo medico, una brava persona, greco.
Ora a Mutoyi, in Burundi, trovo un bravo medico, una brava persona, congolese.
Si chiama Benjamin, il cognome è variabile, usa quello paternoo materno a seconda dell’ufficialità della situazione.
Ha un biglietto da visita generico con il cognome paterno ed uno da dottore con quello materno.
Dice persino che ha dichiarato di avere 35 anni, anziché 42. Sostiene che si trova lavoro più facilmente al di sotto dei 40 anni.
Si pranza come sempre dalle suore. Oggi siamo di meno perché è festa.
Si commemora un vecchio presidente ucciso.
Per alcuni si commemora l’omicidio di quel presidente.
Mi trovo a parlare con una di queste religiose e mi accorgo che sono veramente in prima linea.
Si parla di contraccezione, di posizione retrograda della Chiesa, di evangelizzazione solo come testimonianza di vita. Tutto davanti ad un piatto spettacolare di banane con i fagioli. E’ curiosa, la suora, fa domande e sta ad ascoltare. Una donna capace di ascoltare, un’accoglienza. Spaziamo da encicliche ad Islam, da Diocesi che chiedono soldi ai missionari fino ad avamposti per le vaccinazioni.
Quando dico che questo posto è una specie di miracolo mi risponde che sono le persone che si sono succedute, soprattutto i laici, ad averlo creato.
Sostiene che loro hanno soltanto tenuto le porte aperte.
Queste donne non sono superbe ma superbo è il loro vivere,
non si preoccupano di avere ma soltanto di dare.
Attorno a sé riconoscono solo i segni del Cielo;
sanno coglierli tutti.
Niente passeggiata. Emoperitoneo. Donna, 51 aa, trauma, non si sa la dinamica.
All’ecografia si vede liquido, sembra di intravedere una lacerazione splenica ma data la definizione è più fantascienza che scienza. 90 di massima. Riferiscono emoglobina 9. In sala operatoria subito per emoperitoneo. Il capo non c’è ed io sono l’unico chirurgo. Subito si fa per dire. Bisogna rompere il cazzo perché si attivino e portino la donna in sala operatoria. Nel frattempo arriva il fratello della donna con infezione del sito chirurgico.
Dice che è morta.
Se ne fottono tutti.
Io vado, allora alcuni mi seguono. I medici neri si guardano tra di loro e non fanno niente. Mi muovo. Polso no respiro no, occhio pallato pupille non reagenti. Le vie aeree sono pervie. Massaggio, cerco di spiegare l’iperestensione del capo ma figurati…tra un ciclo e l’altro cerco di capire se respira. Nessuna ventilazione, no polso. Continuo. Mi guardano come fossi un marziano. La paziente dopo 5 cicli e nessuno che mi dia il cambio per me è ufficialmente morta. Me ne vado dicendo in italiano: “fanculo, vado di la sennò muore pure quell’altra”.
Mi seguono. Per strada vado in fretta ma mi fermo quando incontro il fratello della defunta. Lo guardo negli occhi e gli dico che è andata. Riparto di slancio.
Alle mie spalle voci femminili scoppiano in lacrime.
L’infermiere anestesista intuba. Finalmente posso aprire ma mi trovo subito uno stomaco disteso enorme e allora mi fermo, guardo l’infermiere anestesista e gli dico che deve infilare un sondino nel naso. Detensione gastrica e rapida raccolta di 1 litro e mezzo di sangue più coaguli. Tolgo la milza, lavo, dreno e chiudo.
Dopo l’intervento la mettono nello stesso letto della defunta.
Torno a casa.
Recupero il grana dalla valigia appena tornata. Muffa, speriamo di cavarne qualcosa.
Dopocena il capo mi chiede il resoconto della giornata. Scorgo una certa commozione quando parliamo della defunta.
E’ sensibile.
Fa fatica a gestire le sue emozioni.
Su questo pianeta le stelle sono molto più vicine e numerose che sulla Terra.
Il viaggio
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