Mestieri
medicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Croazia, LibiaData di partenza
1946Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Fuggito prima dall’Italia del regime fascista e e poi dalla Jugoslavia del regime comunista, Vladimiro Pahor si stabilisce a Roma nel 1960. Apre il proprio studio medico nel quartiere Parioli e nello stesso anno un cliente, un industriale italiano che vive in Libia e commercia prodotti ortofrutticoli, gli chiede di seguirlo a Tripoli per continuare a curare lui e il resto della sua famiglia
In Libia ho vissuto vicende di ogni genere, piacevoli e meno, interessanti incontri ed esperienze irripetibili, importanti e irrilevanti. Interessante fu la visita alla madre di un Ministro nel suo paese natale a Gharyan, nella zona montagnosa del Gebel. Arrivati alla zona non vedevo nessun paese. L’accompagnatore mi disse di esser giunti a destinazione. Lì non c’erano costruzioni ma dei buchi scavati nella roccia, larghi dieci metri e profondi cinque o sei, di forma quadrata. Ero accompagnato da mia moglie e da un giovane, che mi faceva da autista e da interprete. Al giovane non era permesso vedere le donne e neppure alle donne vederlo. Dopo un saluto ad alta voce lo fecero entrare in una stanza. Io attendevo nel cortile, tra le galline, le capre e l’asino. Mi ricevette una donna di mezza età e mi accompagnò in un buco dove giaceva la mia paziente. La stanza era in penombra perciò non sono in grado di descrivere il suo arredamento, ma forse non ci avevo fatto nemmeno caso. Il letto era basso e duro, anche questo scolpito nella roccia. Era coperto da un tappeto. Né la paziente né la figlia sapevano dirmi la loro età. Al medico, secondo le loro usanze, era permesso soltanto di tastare il polso, di sentire il racconto dei disturbi, fare la diagnosi e prescrivere la terapia. Tutte le conseguenze che comportava tale visita, positive o negative, venivano sempre attribuite al volere di Allah. Rifiutai tale modo di visitare, e pretesi di farlo come prescritto dalla semiotica medica. Con molta pazienza riuscii a convincere la donna ad accettare di essere visitata come io pretendevo. Forse anche il figlio le aveva consigliato di lasciarmi fare nel modo che io ritenevo più opportuno. Molto lentamente iniziai a spogliarla per poterle palpare il seno, auscultare il cuore, percuotere il torace, auscultare i polmoni, palpare l’addome, il fegato e la milza. Quando, scendendo, mi approssimai alle parti basse, la figlia scattò e con ambo le mani coprì la parte che io non dovevo né vedere né toccare, guardandomi terrorizzata. Tutto finì bene, sicuramente alla madre e alla figlia, questa visita scioccante sarà rimasta impressa per tutta la vita. Interessante era la comunicazione tra di noi: la madre parlava alla figlia nel suo dialetto, la figlia ad alta voce traduceva al giovane nel cortile in arabo, e lui traduceva a me in italiano. Nello stesso modo passavano le mie domande, le risposte, i consigli.
Il viaggio
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