Mestieri
ingegnereLivello di scolarizzazione
dottorato di fricercaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Andrea Francini è un giovane ingegnere emigrato negli Stati Uniti per lavoro. È impiegato in un prestigioso centro di telecomunicazioni, è ben retribuito, ma soffre la solitudine e non riesce a mettere radici nel suo nuovo mondo.
Oggi è il 2 Gennaio 2000, una domenica. Mi sono risvegliato triste. Mi capita spesso in questo periodo, ma oggi è stato peggio del solito.
Ho sognato la mia Fata. Anzi no, ne ho sognate due. Una era nata nel ’70, l’anno giusto, e mi era vicina, come un’amica stretta, o una sorella. L’altra era del ’69, era sfuggente, ma era quella che desideravo di più. Si assomigliavano molto, ma non erano identiche. La seconda era visibilmente più matura dell’altra, almeno fisicamente.
Il sogno è svanito mentre si stavano allontanando entrambe. Non c’erano più parole, anche se sentivo qualcosa di intimo che ci legava tutti e tre. Perdere questa sensazione di intimità, per quanto condannata a non diventare mai niente di più concreto, è quello che ha reso triste il mio risveglio.
Mi sono trovato nella mia camera, nel mio letto, più solo che mai, con un intero millennio da affrontare e idee molto vaghe su dove voler arrivare.
Non ci trovo niente di originale, o niente per cui sentirmi particolarmente afflitto e inveire contro il destino crudele o il governo ladro. Però mi fa male comunque, ed ho bisogno di dedicarmi a qualcosa di nuovo per mettere da parte ogni tentazione di vittimismo.
E allora mi ricordo improvvisamente che in questo mondo sono tutt’altro che solo, e che soltanto una chiamata via modem mi separa da tutta la compagnia di cui posso aver bisogno.
Mi trovo a lavorare negli Stati Uniti da più di tre anni. Sono ricercatore, in uno dei centri di ricerca per telecomunicazioni più prestigiosi del mondo. Mi pagano bene, e mi gratificano per quello che riesco a produrre. In cambio devo soltanto accettare di vivere in un posto che in sé non è neanche troppo male, ma in cui ho difficoltà a mettere radici e sentirmi in qualche modo integrato.
Soprattutto non riesco a creare occasioni per arrivare a vivere una vita “normale”, con un minimo di dimensione familiare. In parole semplici: ho bisogno di una compagna, non ce l’ho, e non vedo come farò a trovarla rimanendo qui.
Sto divagando. Dicevo che lavoro in un centro di ricerca. Questo implica che passo le mie giornate davanti a un computer (anzi due) e che quando torno a casa ce n’è un altro pronto a scattare agli ordini delle mie ditacce. Ormai “computer” è diventato per tutti sinonimo di “Internet”, e tra i servizi che Internet offre ai suoi utenti c’è l’e-mail, la posta elettronica. Il lavoro che faccio mi consente di rimanere costantemente appostato di fronte alla mia cassetta elettronica delle lettere.
Tendo a leggere tutti i messaggi che ricevo appena arrivano. A volte, se si tratta di lavoro, devo rispondere prima possibile. Altre volte i messaggi vengono da amici sparsi per il mondo, e in questo caso le risposte maturano in modi e tempi molto vari. Possono essere immediate, perché ho cinque minuti liberi ed è chiaro che possono bastare per quello che ho da dire. A volte però i miei messaggi di replica attraversano lunghissime gestazioni, perché il tema da affrontare è delicato, o semplicemente perché voglio restituire il meglio di me alla persona che mi ha appena scritto.
Lino Rizzo è di gran lunga la persona con cui ho scambiato più messaggi negli ultimi tre anni.
Non certo per merito mio. A volte mi arrivano tre o quattro suoi messaggi prima che trovi il tempo, la voglia, o l’ispirazione per rispondergli. In tutto questo tempo non ha mai avuto una caduta di tono, un rilassamento di alcun tipo. Continua a scrivermi con tenacia, sopportando la mia scostanza senza troppi problemi. Credo che sia un semplice segno di amicizia. Non gli ho mai detto in modo chiaro che gli sono estremamente grato per tutto questo. Forse glielo ho fatto capire in altri modi.
Almeno lo spero.
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