Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
Diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
AustriaPeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nicolò Bissaldi è nato a Trieste nel 1872, proviene da una famiglia italiana e da molti anni lavora per una compagnia petrolifera dell’Impero, prima a Lubiana e poi a Vienna. Nella capitale, in un pomeriggio di primavera, viene colto alla sprovvista da un evento che sconvolge la sua vita. È il 23 maggio 1915.
Maggio 1915
23 Domenica (Vienna) Alla sera le edizioni serali speciali dei giornali viennesi portano la notizia che l’Italia ha dichiarato la guerra all’Austria.
24 Arriva mio figlio Ceci da Trieste. Con mia moglie mi porto alla stazione e ritornato a casa apprendo che due delegati della Polizia sono stati, verso le 8, a cercarmi. Recandomi al caffè Arkaden leggo sui giornali che gl’italiani sono invitati a presentarsi entro 48 ore agli uffici di polizia dei relativi distretti. Verso le 11 mi porto alla Polizia dove, dopo esser stato assunto a protocollo, sono inviato alle carceri site nella Elizabethpromenade. Ivi sono perquisito e mi si prende il denaro, l’orologio, il colletto, le cravatte e le bretelle nonché i legacci degli stivali; le ultime cose, si dice, per evitare un suicidio. Sono rinchiuso nella stanza N. 34 (cca 4 metri per 5) assieme ad oltre 60 italiani. Vi è un solo tavolo e due scanni per 8 persone: gli altri debbono rimanere in piedi dalle ore 13 alle 22. Finalmente mi passano in altra stanza ove si trovano 14 letti e dopo aver energicamente reclamato mi si concede di far portare da un vicino ristorante qualche cosa da mangiare.
25 Passo la giornata rinchiuso; alla sera ho la visita del capocontabile della mia ditta sign. Holfbaner col quale posso parlare 10 minuti in un parlatoio attraverso un’inferriata, in lingua tedesca, presente un delegato.
26 Passo in altra piccola stanza per 3 persone assieme ad un architetto di Leopoli ed un serbo espulso. Alla sera ho la visita del mio avvocato Dr. Medak.
27 Verso mezzodì mi si ordina di prepararci per sortire essendo libero. Recandomi in ufficio apprendo invece che sarò internato. Nel cortile stà pronto un plotone di italiani circondati da una dozzina di soldati con la baionetta in canna. Così noi dovemmo passare tutta la città a piedi per andare alla stazione distante oltre un’ora e mezza. Infuriato io reclamo per simile procedere contrario alla mia dignità e mi si concede di essere trasportato in un furgone chiuso che serve al trasporto dei malfattori. Vicino a me monta un soldato bene armato. Arrivo alla sera alla stazione di Oberhollabrunn e a piedi si procede a Raschalla. La nostra sede è un granaio. Niente letti, soltanto dei fetenti pagliericci e pure con coperte estremamente sudice. Un po’ di caffè nero la mattina, brodo con un pezzettino di carne e patate a pranzo e caffè la sera. Parlo col prefetto di Oberhollabrunn, sign. Held persona gentilissima che conviene non corrisponde il posto alla dignità degli ospiti e promette di interessarsi acché io sia inviato in una stazione migliore.
28 Nel pomeriggio siamo spediti a Drosendorf. Si arriva a notte fatta. Dobbiamo passare la notte nella baracca d’isolamento situata vicino alla stazione; domattina andremo alla vera stazione. La baracca di legno consta di una gran sala circa 5 metri per dodici divisa a metà da un tramezzo di legno. In uno dei locali dormiamo noi, 12 italiani e nell’altro 11 galiziani ammalati sospetti di tifo e colera. Se sortiremo senza malanni potremo dire di esser fortunati. Mi domando se forse anche il Governo Italiano fa dormire gli Austriaci internati assieme a colerosi e malati di tifo. Il medico un serbo di nome Dr. Panajotojevic è molto gentile e ci fornisce disinfettanti e da mangiare. Il Dr. Panajotojevic era da circa un anno internato; durante l’inverno scoppiò nel granaio di Drosendorf ove vi erano un centinajo d’internati russi e serbi, un’epidemia di tifo ensematico. Mi raccontano che tutte le autorità fuggirono e rinchiusero quei disgraziati nel granaio telegrafando a Vienna quanto succedeva. Venne una commissione ma nessuno si arrischiò di entrare; finalmente i medici serbi, con alla testa il Dr. Panajotojevic – dettando le loro condizioni – si offersero di entrare presso i malati e di curarli. Le autorità austriache accettarono e difatti i medici serbi riuscirono a debellare coraggiosamente il male. Sedici o diciassette tra serbi e russi morirono in preda al terribile morbo ma i medici serbi isolarono il male. Detti medici furono stipendiati e da internati divennero confinati.
29 La mattina passiamo al campo d’internamento di Drosendorf. Siamo condotti allo ufficio, all’aperto, ove dobbiamo subire una visita personale rigorosissima. Qualcuno viene spogliato completamente sino pure le calze. Naturalmente ci prendono tutto il denaro e tutti i documenti senza lasciarci una ricevuta. Nel consegnare il denaro allo internato Frigo scappa di mano il portamonete ed il sergente Kühtreiber gli applica tre potentissimi ceffoni. L’atto brutale e villano ci indigna e lo portiamo a conoscenza della Ambasciata americana alla prima occasione. Il granaio dove veniamo installati è sotto ogni critica: schifoso. Vi sono letti di ferro posti così vicino uno all’altro che dobbiamo salire alla testa o a piedi dei medesimi non potendo passare fra uno e l’altro. Un semplice pagliericcio con poca paglia vecchia è il nostro giaciglio. Niente lenzuola niente coperte; invece siamo assediati da pulci colossali e cimici innumerevoli; i topi e ratti, grossi come lepri, passeggiano indisturbati sui dormienti. La mattina trovo nella tasca della giacca, che avevo appesa, due bei topi.
Il viaggio
Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
Diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
AustriaPeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)