Mestieri
operatrice turisticaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1978Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo un mese di viaggio e avventure, si conclude il soggiorno di Gloria Bortolotti negli Stati Uniti: è arrivato per lei il momento di fare ritorno in Italia. Ma non prima di avere avuto un'ultimo, suggestivo incontro a New York.
Sabato 16 dicembre sera
Al Port Autority comincio a togliere le borse e i pacchi e le sacche di carta della mia cassetta da mezzo dollaro. una gentile signora mi guarda i bagagli man mano che li accumulo e tento di scoprire come andare all’aereoporto, ma pare che non lo sappia nessuno. Alla fine scendo la scala mobile che porta in basso dalla parte sbagliata, verso una zona di lavori in corso. Stroncata dal peso esco in strada, la zona mi sembra malfamata come spesso questi dintorni, ora che non stazionano all’ingresso secondario i poliziotti armati con manganello e radio-allarme.
fra tante facce che mi sembrano torve mi rivolgo con fiducia a un portoricano con bambino. Il fatto che abbia un bambino per mano mi ispirava più fiducia che era portoricano me lo dice lui, saputo che cercavo il bus per il Kennedy. «È più veloce ed economica la metropolitana costruita da non più di un mese.»
Con gentilezza quasi insistente vuole prendermi un po’ di pacchi e la pesantissima borsa, e carica pure il bambino della mia roba.
Mi scuso per il disturbo non tanto di farlo arrivare alla subway (aveva detto di doverci comunque andare) ma per i pesi di cui lo opprimo e del tempo perduto col mio claudicare, ma lui nega, inesistente nell’aiuto offerta, dicendo di continuo: «no molestia». Lui abita a new York, io invece vengo da lontano e devo tornare in Europa. Lui ha tanto tempo, sta qui. Io ho l’aereo che parte. E intanto arriviamo alla nuova linea contrassegnata dall’aeroplanino blu e lui paga per me l’ingresso, nonostante le mie proteste, ripetendo: «no molestia» e aspetta l’arrivo della carrozza speciale, mentre quella che lui deve prendere passa e ripassa frequente: «no molestia» lui ha tempo. I suoi genitori sono venuti qui da Portorico tanti anni fa e lui è nato a new York, come tutti è un americano di immigrazione, uno di quelli che il sogno americano ha portato a fare il fattorino delle poste, ma il suo bambino studia, forse un giorno farà il dottore.
Il ragazzo ascolta il discorso del padre masticando la gomma che gli ho regalato, io penso alla generosità di quest’uomo verso una che viene da lontano ed ora sta per tornare via. I portoricani, la più povera comunità di new York che abita le case fatiscenti abbandonate da tutti; tra poco, con il suo sferragliante, scassato e istoriato vagone andrà verso la casa nel ghetto.
Arriva, nuovissimo, pulito, molleggiato, il J.f.K. vagone dalle cui porte scorrevoli la bigliettaia respinge i passeggeri comuni perché si tratta di un convoglio speciale.
Il mio nuovo amico spiega che vado in Italia e mi aiutano insieme a caricare i bagagli. resta sulla porta, saluta. oltre il vetro che scorre automatico è il suo bianco sorriso nel viso scuro l’ultima cosa che vedo di new York.
Mentre la bigliettaia conta i dollari e mi dice: «Italia, Venezia: la città più bella del mondo».
Il viaggio
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