Viaggio di nozze in Libia

Partimmo per l’Africa, tre giorni dopo [il matrimonio, Ndr], con una nave tutta bianca. Da bambina avevo sempre sognato di fare un viaggio per mare; adesso ero felice di poter realizzare quel sogno. La piccola cabina, tutta per noi, mi sembrò una reggia e Vittorio il mio re. La traversata fu bellissima; ma la mia felicità era turbata dal ricordo del mio fratellino Benito. Per lui il distacco da me era stato traumatico.

Quando il piroscafo giunse a Bengasi l’Africa mi venne incontro col suo incantesimo, coi suoi meravigliosi colori, coi suoi profumi. Una moto-maona ci portò a riva.

Allora non c’era il porto. Sulla banchina del molo centinaia di arabetti vocianti offrivano ai passeggeri souvenirs; ognuno si affannava, sperando di arrivare per primo a vendere la sua merce. “Saniura” – dicevano; “queisa saniura”. Significava: graziosa signora. Io indossavo una tunichetta di seta rossa, con una cintura di vernice nera sui fianchi, ed un berretto basco rosso. Era il luglio del 1931.

Alloggiammo al Grande Albergo Italia di Bengasi, che dominava la piazza centrale della città. Di fronte c’era il Cinema Berenice e da un lato la Federazione Fascista. Nel centro, i giardini pubblici, sempre pieni di bimbi e di mammfilippine. Qualche giorno dopo partimmo per l’interno, per raggiungere la residenza di mio marito.