Miniera, cantiere e fabbrica

Babbo lavorava nelle miniere di carbone, era un lavoro che non gli piaceva troppo – Paolo, mentre scrivo c’è la radio vicino a me che mi canta la canzone “Volare” e così sono in Francia e ho l’Italia vicino a me. Paolo, ho il cuore diviso in due tra Francia e Italia. La Francia è il mio paese ma l’Italia è il paese di tutto il mio passato e della mia famiglia – [babbo] diceva sempre: “Questo lavoro non mi piace, non voglio morire come i topi in fondo alla miniera”.

I genitori di babbo, quindi i nostri nonni, loro erano venuti subito a Vizille, non so com’è stato, se qualcuno gli aveva dato l’indirizzo, il fatto è che partendo da Urbino sono venuti a Vizille. Un giorno il nostro babbo scrisse ai genitori di trovargli un alloggio perché anche lui voleva venire a Vizille. A quell’epoca il lavoro ce n’era a volontà, potevi cambiare padrone, mezz’ora dopo ne trovavi un altro. Un giorno la nonna gli scrisse di venire, gli aveva trovato un alloggio ed è così che i nostri genitori si trasferirono a Vizille: nell’alloggio il mobilio era una tavola e un banco di legno e come letto un materasso di foglie con granturco. La nonna, pace all’anima sua, non si era lambiccata troppo il cervello per accogliere un po’ meglio il figlio e la nuora. […]

E così cominciò la vita a Vizille, babbo trovò subito lavoro come manovale – manoeuvre – non so se si dice così; mamma lei andò all’Alliance, il quartiere dove siamo adesso. Era come una filanda, ossia si faceva la seta, esiste ancora ma ci sono pochi operai. Mentre allora era una bella fabbrica con tanti operai. Ci lavorò qualche mese, ma faceva fatica, era un lavoro troppo duro per lei […]. Il 15 novembre del 1924 sono nata io, non era il caso di tornare in fabbrica, non ce l’avrebbe fatta a badarmi, e così rimase a casa.