Mestieri
educatriceLivello di scolarizzazione
diploma magistralePaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1932Data di ritorno
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Mafalda ha ormai tredici anni, e vive in Francia da quando ne aveva nove. Un peggioramento nelle condizioni di salute del padre pone la famiglia di fronte alla necessità di far rientro in Italia.
Noi bambine nel villaggio socializzavamo molto e venivamo accolte con gentilezza in tutte le case del villaggio. Ogni tanto andavamo a trovare una vecchina che parlava dialetto bretone. Aveva una cuffietta bianca che terminava in cima al capo con un angolo di pizzo. Aveva anche il colletto bianco tutto traforato. Mi ricordava delle vecchie illustrazioni olandesi. Gli uomini invece portavano sempre i sabots di legno che isolavano dal freddo e dalla umidità.
A scuola andava tutto benissimo ma Maria per assicurarsi la benevolenza di Mademoiselle Therese andava spesso dal droghiere a comperare i “dragers”. Erano dei dolci di liquirizia che la maestra accettava con disinvoltura senza chiedersi da dove venissero. Se ne accorgeva la mamma che avendo credito presso il droghiere pagava conti abbastanza salati.
Ad un certo punto si poneva il problema della bicicletta che non sapevamo usare. Maria con la sua disinvoltura si fece dare a noleggio una piccola bicicletta adatta alla nostra statura. Fu un’esperienza bellissima sino a quando non se ne accorse Papà, che con aria accigliata ci rimproverò di averlo fatto senza chiedere il permesso. Ed il sogno di correre in bicicletta svanì. […]
Dopo un lungo periodo di questo bengodi ci accorgemmo che Papà stava sempre peggio. Il dottore gli ordinò di fermarsi per riposare perché oltre ad essere stressato aveva i primi sintomi della malattia che lo avrebbe accompagnato per tanti anni. II medico disse che si trattava di una cosa leggera e che, quando si fosse ritemprato, avrebbe potuto tornare al lavoro. Papà era nella stessa ditta da 14 anni e non aveva piacere di restare inattivo. Smettere di lavorare significava tornare a Roncone. Papà non voleva, ma dopo le continue pressioni della Mamma si decise.
A noi bambine non dispiaceva, perché pensavamo di raccontare alle nostre amiche ronconesi le nostre avventure. Raccogliemmo le nostre cose in bauli e valigie e ritornammo in Italia. Ci fermammo una notte a Brescia ed al mattino acquistammo vestiti per tutti. Papà acquistò degli stivali marrone chiaro che in Francia non aveva mai trovato. Il giorno dopo arrivammo a Roncone. La zia Pina aveva provveduto ad accendere la stufa e cuocere un pezzo di manzo per il brodo come si usava allora.
Ci mancò poco che a riceverci non ci fosse la banda. Tutti i parenti e gli amici erano in casa ad aspettarci ed Papà, che era molto generoso, ebbe un pensiero per tutti.
Per noi figlie cambiò tutto. Dovemmo rifare gli anni di scuola che non avevamo fatto in Italia. E poi le amiche che avevamo lasciato non ci guardavano più. O meglio ci guardavano con diffidenza perché avevamo le gonne corte ed i calzettoni che arrivavano sotto ginocchio. In più avevamo il cappotto, che purtroppo nessuno aveva a Roncone. Le maestre ed il parroco ci dicevano di allungare le gonne perché eravamo un cattivo esempio per le altre bambine. Era comprensibile, perché a quei tempi le bambine indossavano gonne fino alle caviglie e dei grossi golfoni fatti dalla mamma o dalla nonna con la lana di pecora filata. Io a scuola andavo malissimo con grande soddisfazione delle compagne.
Il viaggio
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