Mestieri
InsegnanteLivello di scolarizzazione
LaureaPaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1923Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)È il primo giorno di scuola a Zuara, in Libia, per il piccolo Aldo emigrato da poco dall'Italia nel 1923.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Zuara, il babbo mi accompagnò all’asilo delle Suore Francescane. Questo era un ampio edificio bianco verso la stazione: una antica caserma. Nel mezzo aveva un grande cortile con un porticato tutto intorno. Per metà era adibito ad alloggio delle cinque suore e nella rimanente metà c’erano due vaste aule, il teatrino, i ripostigli e l’ufficio della superiora. Proprio in mezzo al cortile c’era un’aiuola esagonale sopraelevata da terra per circa un metro, al centro della quale troneggiava una annosa pianta di limone e torno torno al muricciolo una bordatura di gerani fiammeggianti. Sotto il porticato, specialmente dalla parte della clausura vi era una profusione di vasi e vasetti con piante ornamentali e rampicanti. L’asilo mi piacque subito, forse per quel senso di frescura che vi era nel patio e tutto quel contrasto di verde e di bianco. Quando varcammo il portone la superiore-direttrice, Suor Maria Luigia del Calvario, ci attendeva. A poca distanza altre due suore andavano raccogliendo i propri alunni, man mano che arrivavano. Madre Anna del Sacro Cuore i più grandicelli e Madre Immacolata i più piccini. Le altre due suore, che conobbi più tardi, erano Madre Maria Terenzia del Divino Carmelo, che dirigeva il laboratorio di tappeti delle ragazzette arabe e Madre Mary-Assumption, la cuciniera. Quest’ultima era una suora maltese e parlava in un modo stranissimo, almeno alle mie orecchie. Quando Madre Maria Luigia ci vide, ci venne incontro festosa. “Oh, il caro piccino!”, esclamò. Rispose al saluto ossequioso di mio padre, mi accarezzò il capo e mi guardò benevola. “Vieni volentieri all’asilo?”, mi chiese. Io annuii e me ne stetti li tutto imbarazzato nel mio nuovo grembiulino bianco, con il gran fiocco azzurro sotto il mento, stringendo nervosamente tra le mani il manico del cestellino della merenda. “Certo che viene volentieri – affermò mio padre – Lo desidera tanto!”. Il che non era vero. Giusto mezz’ora prima la mamma mi aveva rifilato un paio di sculaccioni perchè mentre mi lavavo il collo, io avevo gridato ‘Accidenti all’asilo’. “Ah, bravo, bravo…”, soggiunse Madre Luigia e mi affidò alle cure di Madre Anna perchè mi sistemasse nell’aula dei bambini grandi. Tanto Madre Maria Luigia era magra e segaligna, tanto tonda e paffuta era Madre Anna che pareva rotolare più che camminare. Quest’ultima mi prese per la mano. “Oh, che bel giovanottino”, disse. Mio padre si chinò a baciarmi sulla fronte, mi raccomandò di essere buono e di fare il bravo – quante raccomandazioni quella mattina! – e si congedò dalla suora direttrice. Quando lo vidi mettersi la paglietta e allontanarsi tutto elegante nel suo abito bianco, mi parve di sprofondare. Due grosse lacrime mi scivolarono giù per le guance. Madre Anna non se ne accorse o finse di non accorgesene. Continuando a tenermi per mano e seguita da un codazzo di bambini che mi sbirciavano con somma curiosità, entrò nell’aula. L’ambiente era luminoso e ben arredato: c’erano diversi piccoli banchi, alcune tavoline con piccole sedie, una cattedra e alquanti armadietti e molte piante sui davanzali delle finestre. Alle pareti disegni, cartelloni, illustrazioni varie. Gli altri bambini, già pratici evidentemente, presero subito posto nei loro banchi o tavoline, dopo aver posato i cestini negli armadietti. Io rimasi lì, nel bel mezzo dell’aula dove la suora mi aveva lasciato per andare alla cattedra, inerme preda di almeno trenta paia d’occhi curiosi e inquisitori. “Ora ti darò il posto – mi disse dopo qualche istante – ti metterò vicino a…. Vediamo un pò, ti metterò vicino a…. Ah, si, ecco. Vicino ad Aziza e Ghibri. Ti va bene?” Feci un cenno affermativo. Che altro potevo fare se non dire di si? E poi chi erano Aziza e Ghibri? Che razza di nomi. Chi fossero i due lo scoprii subito. La prima era una bambina grande e robusta, di forse sette anni, color cioccolatino. Il suo babbo era uno sciumbasci mulatto e la sua mamma una negra, come seppi in seguito. Ghibri era un piccolo ebreo, pressappoco della mia età, figlio di uno stagnino della Hara. La bambina prontissima si alzò dal suo posto, mi si accostò con un amichevole sorriso e mi prese per la mano. Ghibri mi si avvicinò subito dopo, tutto complimentoso e mi si piazzò davanti con un’aria da passerottino infreddolito. “Aziza, mostragli l’armadietto dove deve tenere il cestellino”, disse la suora. Ubbidientissima Aziza mi trascinò davanti ad uno dei piccoli armadi, lo apri e fece per prendermi il cestino dalle mani. Fino a quel momento ero stato docile e silenzioso, ma quando mi accorsi che la negretta voleva il mio cestello della merenda, mi ribellai. “No, E’ mio!”, esclamai a voce alta.
Il viaggio
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LibiaData di partenza
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