Mestieri
ragioniereLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Luigi Muzio Conti è in Etiopia nel 1937: la guerra è finita da poco ma le truppe italiane presidiano ancora il territorio per reprimere ogni focolaio di rivolta.
Ho con me due coperte, ma sento ugualmente il freddo e la grande umidità. Ogni tanto un brivido, non solo per il freddo, ma anche per l’urlo delle jene che talvolta s’avvicinano. E’ anche seguito da certe loro modulazioni sarcastiche. Poi un gran silenzio rotto improvvisamente dal latrare caratteristico di canidi selvaggi. O un canto ritmato di indigeni che un soffio di vento porta da molto lontano. Oppure un semplice fruscio di uccelli tra il fogliame dei pochi alberi vicino al fortino. Guardo assorto il rapido tramonto tra i nembi, le rade acacie presso le rive del “fiume dei leopardi”, questo vasto mondo poco abitato, ora pregno d’acqua, isolato, nell’antica Abissinia. Il cuore s’intimidisce. E’ come accarezzare, con l’animo sospeso, una cosa bellissima, avvincente. Ma sconosciuta. Temibile.
Giovedí 21 luglio
Dodolà, capoluogo della residenza da cui dipende Malca Daddeccià, è un centro carovaniero a pochi chilometri a 2.362 metri d’altitudine ai piedi dei Monti Ghedeb. Invio un secondo messaggio al residente perché mi procuri un cavallo e qualche muletto. Sí è nelle mani di Dio. Piove. Ogni tanto una schiarita, un po’ di sole. Poi di nuovo gli elementi si scatenano con lampi e tuoni e vento. Gli indigeni dicono che è un anno eccezionale. Gemono i tetti di lamiera. Geme il ponte. In un campo di fortuna qui vicino è atterrato ieri un trimotore militare. Il comandante del distaccamento, in gravi condizioni per la broncopolmonite, è stato portato a bordo in barella. Il trimotore è quindi decollato per Addis Abebà. E’ il solo mezzo per viaggiare veloci… e salvare una vita.
Martedí 26 luglio
Non mi riesce ancora di riprendere il viaggio. Profitto delle schiarite per andare a caccia lungo il fiume. Poche le gazzelle e le antilopi. Non le disturbo. Prendo solo qualche anitra selvatica. Per il resto mi limito ad osservare. Molti i pellicani, le cicogne, i corvi, gli avvoltoi. Non sono un cacciatore per vocazione. Però mi piace il tiro di precisione e questo è ora l’unico modo per tenersi in esercizio.
Mercoledí 27 luglio – Al mattino di solito non piove. Invece il pomeriggio e la notte i temporali si susseguono esasperanti. Un’ora prima dell’alba veniamo svegliati da uno scricchiolio pauroso. Non piove. Per tal motivo lo abbiamo udito bene. Mi vesto in fretta. Scendo anch’io dalla scarpata del fortino, come fanno le camicie nere, con una grossa lampada a gas di petrolio. Accade quello che da giorni si temeva. La piena aveva ormai minato senza scampo la solidità del ponte, l’unico ponte sull’Uabi che consenta in questa stagione le comunicazioni tra gli Arussi (la provincia etiopica sulla riva sinistra) ed il Bale (la provincia etiopica sulla riva destra), cioè tra l’alto Bale ed il centro dell’Etiopia. Il fiume è largo in questo punto alcune decine di metri. Le acque turbinose e giallastre hanno quasi raggiunto il livello del piano rotabile. Benché opera militare in legno, è notevole, solido e ben ancorato con poderosi cavi d’acciaio che, fissati alle rive, ne attraversano tutte le campate. E’ rinforzato inoltre in tutta la sua lunghezza da speciali grosse sbarre d’acciaio. Il ponte geme sinistramente, come un gigante ferito che tenta di ribellarsi all’ira dei flutti. La sua disperata resistenza dura poco. Con un seguito rapidissimo di schianti non rimane del ponte neppure una tavola. Tutto é cancellato. Per brevi momenti vediamo ancora intere sezioni del ponte allonta-narsi, scomparire nelle tenebre, travolte dalla vorticosa massa d’acqua. Un’ora piú tardi, con due colleghi del distaccamento, raggiungo a cavallo un piccolo rifugio diroccato; dove però, siamo costretti a fermarci per la violenza della pioggia. Il sole è sorto da poco quando possiamo ripartire. Raggiungiamo quindi le grandiose cascate dell’Uabi qualche decina di chilome-tri da Malca Daddeccià, poco a nord di Scedalà. Lo scopo è di esaminare sulla via del ritorno la situazione lungo il corso del fiume. Intanto osserviamo il grande salto d’acqua, imponente per la piena del fiume; uno spettacolo superbo della natura, quasi irreale per i riflessi dell’aurora sulle miriadi di goccioline sollevate dalla cascata. Sono da poco assorto nell’osservare la massa d’acqua che precipita quando arrivano i rottami del ponte. Hanno impie-gato alcune ore. Le campate, ancora a blocchi interi come zatte-re, arrivano una alla volta a lunghi intervalli, insieme con piccoli rottami, tronchi e rami d’albero, grossi cumuli di erb0 radici, carogne gonfie di cavalli e di zebd. Una lenta processione d’ogni cosa. Con raccapriccio vedo girare su se stesso in un vortice a valle il cadavere d’un ragazzo indigeno. I frammenti del ponte, come le carogne ed il resto, precipitano man mano nel baratro di schiuma. Trascurabili fuscelli che si perdono senza un lamento nel grande frastuono. Anche la zattera, che a Malca Daddeccià era affiancata al ponte e poteva servire da traghetto, è stata travolta e è arrivata alle cascate. Mi prende un brivido. Può essere la grande umidità. Può essere il pensiero che anche noi uomini, con tutte le nostre molte conoscenze nel campo della scienza e del pensiero, o con tanta prepotenza o presunzione, non siamo che fuscelli trascinati via dalla vita. Come quel povero ragazzo indigeno. Anche per noi verrà prima o poi una stagione delle grandi piog-ge. Se vi pensiamo qualche volta, meglio non troppo di rado, saremo preparati e ci potremo anche salvare. Questa introduzione all’Africa è proprio una sorpresa per me.
Il viaggio
Mestieri
ragioniereLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)