Mestieri
direttore della fotografia (cinema)Livello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
ColombiaData di partenza
1923Data di ritorno
1932Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)L’irrequietezza del capofamiglia produce un nuovo trasferimento: i Troiani questa volta passano da Barranquilla a Santa Marta.
Il periodo trascorso a Barranquilla fu breve, tanto che non ci fu neanche il tempo per allacciare amicizia con qualche connazionale. Papà decise di partire per S. Marta. Da chi fosse stato consigliato quel trasferimento, non si è mai saputo. Comunque, conoscendo la sua instabilità, nessuno della famiglia si meravigliò o chiese spiegazioni in merito. […]
- Marta ci apparve subito bella. Situata alle pendici della Sierra Nevada, dove questa scende nel Mar dei Caraibi, sulla costa rocciosa dal profilo variegato. Ad ovest gli scogli s’alzavano per dare la scalata all’imponente “Cordillera de los Andas”.
Al centro della città era il porto, di modeste proporzioni e adibito quasi esclusivamente alle navi della “Flotta Bianca”, dal colore del loro scafo, della “Company”. […] La nostra abitazione si trovava molto vicina alla ferrovia, tanto che io m’ero imparato i numeri delle locomotive dalla piccolissima differenza del… muggito. In quella casa i miei unici rapporti furono coi bambini di colore. I colombiani sono prevalentemente mulatti; quelli negri derivano, in maggior parte, dall’incrocio con i provenienti dalla Martinica.
La mia amicizia con quei bambini era dovuto al fatto che dividevamo il grande cortile con le loro famiglie. Io ne approfittai per farmi una fidanzatina di quella razza. […]
In città venivano spesso gli indios guajiros. Avevano il colore della pelle olivastra, occhi a mandorla e capelli lunghissimi da rendere difficile distinguere gli uomini dalle donne, dato che tutti indossavano gli stessi tipi di abito: un semplice saio di iuta, poco aderente, che non metteva in risalto le forme. Credo però che quella tenuta fosse un’esigenza della censura delle autorità cittadine ma poi, in seno alle loro tribù, fossero liberi da ogni abbigliamento o costume.
Qualche volta, però, visto che il sistema non funzionava, le autorità decidevano di applicare i metodi più drastici: ne imprigionavano qualcuno, senza alcun motivo, gli tagliavano i capelli, senza i quali non sarebbero potuti essere ammessi dalla tribù e li davano a chiunque ne facesse richiesta per qualsiasi impiego domestico. Ma non sempre quel sistema di civilizzazione forzata riusciva appieno. Molti, dopo che erano riusciti a farsi ricrescere i capelli, preferivano far ricorso alla tribù.
Quando gli indios passavano davanti casa, i miei genitori usavano invitarli ad entrare; e quelli entravano ma con moltissima diffidenza, poi il caffè, del quale erano golosi, li rassicurava. Non si riusciva facilmente a fargli dire qualcosa, neanche nel loro idioma.
Loro abitavano alle pendici della Sierra Nevada e calavano in città per barattare qualche cosa e offrendo, nello scambio, erbe medicamentose e radici che preservavano i denti dalla carie: peccato, però, che li facevano diventare gialli come i loro. Alcuni, invece, vendevano il loro figlioletto. Lo portavano dentro una specie di bisaccia di corda (mochila). Il prezzo si aggirava intorno ai cinque pesos, ma accettavano anche scambi con qualche cianfrusaglia.
Il viaggio
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