Mestieri
medicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Brasile. Argentina, Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1921Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo un anno di permanenza, scoraggiato dalla situazione lavorativa, Vincenzo Grossi decide di lasciare il Brasile e passare in Argentina, dove spera di trovare più opportunità per esercitare la professione di medico.
Io cominciai a studiare tutti i paesi e cittadine ove erano molti italiani e c’era Caxias che forse valeva la pena di provare, ma era piena di medici italiani. Io allora cominciai a scrivere in Argentina ove mi dicevano che si poteva esercitare senza licenza ove non era un medico argentino. Mi lasciai abbagliare dalle speranze e lasciai Porto Alegre dove almeno facevo qualcosa ed era con tutti i suoi difetti una città.
In Argentina andai a Rosario di Santa Fé da un medico italiano che cercava di aiutarmi. Al così detto ospedale italiano, il direttore Mastrosimone, del quale si dicevano cose di tutti i colori, non mi volle, e quando io dissi che non avrei preteso stipendio per il servizio, ma solo vitto e alloggio, mi rispose che l’ospedale non era la Congrega di carità.
Dopo infinite peripezie ed un mese di ricerche affannose, avendo consumato tutti i miei soldi, arrivai a Colonia Belgrano, un paesello sperduto nello stato di Santa Fé. Ero stato da Daneo, che viveva nella sua immensa tenuta, ma non seppe altro che offrirmi del denaro per andare in Bolivia! Stetti due mesi a Colonia Belgrano, vivendo quasi come un selvaggio e cercando di guadagnare qualcosa con un abbonamento dei coloni. Ma deciso a tornare a Roma, ove le sorelle mi scrivevano di tornare, andai a Santa Fé, dove avevo fatto domanda da tempo come interno all’ospedale italiano e fortunatamente mi presero, quando mi presentai per l’intercessione del Dr. Trucco.
A Santa Fé stetti circa otto mesi, ma anche lì non ero tranquillo. Il clima umido terribile, il mangiare impossibile. Non ci fu verso di convincere il cuoco a farmi un piatto di maccheroni che non fosse una polenta o a convincerlo che a me non piaceva la carne appena passata sulla fiamma o il pesce semicrudo. E così tutto il tempo che stetti all’ospedale, la notte, il mio cameriere mi cucinava di nascosto e così potevamo nutrirci.
Scrissi a De Michelis e così ritornai col viaggio pagato sul Duca degli Abruzzi. A Roma trovai Peppino che aveva perduto l’impiego e fortunatamente con l’aiuto di Laura fu possibile farlo andare a Perugia. Con tutti i miei dolori, io riportai dal Sud America 25000 lire nette che non avrei mai potuto metter da parte a Roma.
Il viaggio
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