Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1951Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
«Ingenuo e sprovveduto ma dotato d’astuzia; rissoso e prepotente ma di cuore tenero; amante delle donne e timoroso del matrimonio; amante della vita ma pronto sempre ad affrontare il rischio di perderla». Così una prima lettrice d’eccezione, Natalia Ginzburg, definiva il protagonista e narratore di un racconto pervenuto all’Archivio dei Diari nel 1988. Alla sua storia senza titolo Einaudi avrebbe imposto quello di Schiena di vetro, scegliendo un’immagine efficace usata dall’autore per descrivere chi, come lui, sa guardarsi le spalle.
Come per tutte le autobiografie, anche per quella di Raul Rossetti, vicentino “magnagatti” (e non per modo di dire), la vita coincide con la storia, almeno in buona parte. Ho romanzato le cose più scabrose ma è tutto vero, avrebbe dichiarato più avanti, difendendo le parentesi fittizie dentro al manoscritto come “diversivi”, alleggerimenti di una vicenda che rischiava di risultare pesante, indigesta. La dichiarazione di poetica rivela solo uno dei tanti aspetti di “autorialità” di questo scrittore fauve che s’è ubriacato di letteratura nordamericana e film di gangster, oltre che di vino e birra belga.
Nato nel 1929 a Chivasso (Torino) da una famiglia veneta che al Veneto fa presto ritorno, cresciuto con la fame e la rabbia della povertà e della guerra, Raul emigra nel 1951 per il Belgio, dove farà per tre anni il minatore. Sarà l’aria artificiale, sarà il calore tutto uguale dalla testa ai piedi, sarà quel che si vuole, io so che in mina si sogna – scrive – io ero arrivato al punto di risparmiare i sogni e i soggetti per non sciuparli in un’inutile giornata. Si sogna pensando a quel che c’è nel mondo sopra, e nel mondo sopra si pensa al mondo sotto, ed è un binario che raddoppia la vita: donne conquistate e perdute, alcol e scazzottate si mescolano alla gerarchia «giusta» della mina, dove è tanto più facile capire chi vale.
«Scritto in uno stile ingenuo, maldestro ma immediato e fresco, senza artifici e senza infingimenti» – a recensire è sempre Natalia Ginzburg – «il racconto ha la seduzione e l’acerbità dei ricordi vivi e reali». Qualche artificio, sia pure a buon fine, Rossetti l’aveva inserito. Nonostante questo, nonostante l’invenzione controllata e il gusto per l’iperbole, ha vinto il Premio Pieve – destinato a scritture autobiografiche – nel 1988, e accarezzato, sia pur brevemente, una certa notorietà.
Il viaggio
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