Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1951Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Raul ha ventidue anni. Alle spalle, una breve esperienza in Marina, alcuni furtarelli nel tempo di guerra, un mucchio di spacconate e un discreto numero di frequentazioni femminili. Ha deciso di emigrare per il Belgio e parte con il contratto in tasca.
La stazione centrale di Milano ormai si era un po’ acquetata. Qualche colpo battuto sui vagoni a spinta, qualche martellata alle ruote per il solito controllo con un martello dal lungo manico. Sbuffi di vapore di qualche caldaia, qualche dài, tira, alt, piano, gridati. Mi decisi ad andare a prendere una boccata d’aria. Salii su dal sotterraneo passando davanti a mucchi d’umanità dormente. Chi con il sorriso beato chi con la retina in testa: ultimo baluardo di un candore paesano, senz’altro quel povero cane lì aveva dei bei capelli ondulati e dio solo sa quanto ci teneva per sfidare il ridicolo in mezzo a tanto abbrutimento. Questo dorme con la pancia in giù come a casa sua, senz’altro avrà una madre, una sposa. […] dorme e a chi penserà, neanche per sogno la vorrà vedere la mina, finché non ci va dentro vuole gustare ancora il tempo che ha per sognare tanto verde e tanta pace. E questo ci pensa: guarda come si agita, perdio: trema tutto e suda. Questo è un debole senz’altro come me, lui ci pensa. Anch’io penso: on sfuggo ciò che mi aspetta. È biondo e se non fosse per la smorfia sarebbe una bella faccia friulana. Un grande treno di lusso è fermo. Ecco: prima classe, tendine, guanciale e letto. Magari quando arriveranno a destinazione quelli che dormono lì mi diranno: «Son tre giorni che viaggio, ah le mie ossa… Maria, il bagno, non tanto caldo…». […]
Nel corridoio pieno di valige mi soffermai e guardai dentro uno scompartimento. Il fumo era già denso e il vino correva. Bevevano tutti, anche chi non era bevitore. Da come tracannavano da principianti facevano pena, si ubriacavano senza arte. Disgustato proseguii oltre. Arrivai dai miei provinciali. Erano già tutti sistemati attorno al mio sacco che troneggiava là dritto con quattro stracci dentro. Mi sistemai per bene e allungai le gambe. Sfilai un giornale di tasca a uno che guardava i campi correre. Era un giornale a fumetti con quattro gatte svestite e tutte tese per far vedere una coscia insulsa. Lessi anche l’oroscopo che mi prometteva tanta felicità e buona riuscita negli affari. Lo buttai via incazzato: anche la sorte mi coglionava.
Cominciarono i preparativi per il simposio volante. Saltò fuori di tutto: la torta casalinga, il panforte, il salame d’asino con l’aglio, e ogni sorta di mangime da vino. Partecipai anch’io a tanta abbondanza di banchetto. Preparai lo stomaco per bene, e poi giù a bere. Il nostro scompartimento era una cantina. Tutte le qualità di vino che il Veneto può dare. I miei compagni erano tutti simpatici, e soprattutto generosi. M’avevano subito pesato che io non avevo niente, ma senza farmelo vedere e con una delicatezza squisitamente rurale m’avevano pregato di aiutarli a finire con loro la roba. Un giro e partiva un fiasco, l’ultimo lo asciugava e lo buttava via.
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