Mestieri
imprenditoreLivello di scolarizzazione
diploma di scuola agrariaPaesi di emigrazione
CongoData di partenza
1917Data di ritorno
1974Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Anni Venti del 1900: Italo Cipolat è un bambino, nato da una famiglia italiana emigrata in Congo e insediata in una fattoria. Il suo mondo sono i contadini e i mandriani locali, la lingua e il cibo del luogo.
Crescevamo come due piccoli selvaggi, lasciati completamente per conto nostro.
Il gruppo di cui facevamo parte era formato da due o tre ragazzi greci, diversi neretti e nerette della nostra età. E così, in banda, entravamo nei campi di mais, facendo man bassa di pannocchie verdi che arrostivamo sulla brace nel primo villaggio che incontravamo.
Le donne indigene sovente ci davano anche da mangiare.
I nostri genitori, che vedevamo solo nell’ora dei pasti, ci proibivano di andare a mangiare la polenta (Bukari) dei neri. Ma noi la trovavamo buona e, seduti per terra con gli uomini, dopo esserci lavate le mani con un poco d’acqua versata da una “Lukata” (piccola zucca secca tagliata in due), mangiavamo con buon appetito. Il condimento poteva essere costituito da pesce fresco o affumicato od altrimenti salato, unito a salsa di pomodoro e spezie tra cui dominava il “Pili-Pili” che è un peperoncino molto forte. A volte riuscivano a procurarsi della carne sia di animali che allevavano o che cacciavano. Durante la stagione delle piogge si procuravano facilmente degli ottimi funghi o diversi tipi di spinaci come “Lenga-Lenga” o “Sombe”. A seconda della stagione potevano disporre di una vasta scelta di vermi che facevano seccare al sole e condivano poi con olio di palma. Le cavallette chiamate “Kabora”, un vero flagello per le coltivazioni, costituivano in compenso, per loro, un piatto prelibato. Topi di campagna, “Pania”, che anche noi prendevamo con le nostre trappole, erano preparati a dovere dalle donne indigene e così pure un grosso tipo di roditore della taglia di un coniglio chiamato “Mamanambau” o “Simbiriki sengi”.
Ettore ed io mangiavamo sovente con i nostri compagni di caccia e di giochi; non ricordo con certezza d’aver consumato dei piatti che ho descritto, ma non lo escludo.
Il viaggio
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