Un frate fustigato

31.1.88

La polizia è riluttante ad accordarmi il visto per Juba. Sostiene che le autorità militari non possono garantire la mia sicurezza in una zona di guerra. Le motivazioni del mio viaggio sono ritenute valide, ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di autorizzarmi a recarmi in Equatoria, dove la situazione bellica peggiora di giorno in giorno. La notizia, giuntami poco fa, che un aereo è stato abbattuto a Juba in fase di atterraggio aumenta la mia preoccupazione. Scusami se eccedo con queste notizie, che in Italia possono apparire come cronaca di fatti lontani, ma parlandotene mi sembra di attenuare la tensione che mi attanaglia da alcuni giorni. Nella città aleggia una pesante atmosfera di sospetto, di diffidenza e cupa violenza. La “legge islamica” la “Sahria” è qui applicata con particolare rigore. Un frate cattolico sorpreso con una bottiglia di grappa è stato fustigato pubblicamente in una piazza della città. C’è uno strano contrasto fra la continua presenza di soldati armati fino ai denti e la gente che affolla le strade, vestita con candide tuniche e spettacolari turbanti (abiti degli uomini) o con “sabri” coloratissimi drappeggiati con cura (abiti delle donne). Fra poco vado ad Omdurman, una città confinante con Khartoum, dove confluiscono il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco, formando il grande fiume dalle sponde ubertose, assediate dall’immenso deserto.