Paesi di emigrazione
CroaziaData di partenza
1946Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)È il 1954, le tensioni con l’Unione Sovietica sono ormai stemperate, Stalin è morto. Dopo cinque anni di detenzione a Goli Otok, il “dissidente filosovietico” Cherubino riceve la grazia dal maresciallo Tito. Finalmente Sonia può riabbracciare il padre, un uomo stremato dalle violenze subite.
Arrivò l’estate e poi sopraggiunse l’autunno con le giornate grige e tristi. Erano passati quasi quattro anni dal giorno in cui mio padre era stato rinchiuso nel carcere. Verso la metà del mese di novembre trapelò fino a noi una notizia grande ma incerta. Per la Festa della Repubblica, il 29 novembre, il maresciallo Tito avrebbe concesso l’amnistia ad alcuni detenuti politici. Questa notizia riempì i nostri cuori di speranza. “Stalin è morto già da più di un anno e qualche cosa nei rapporti con l’Unione Sovietica sta cambiando, la notizia potrebbe essere vera”, ci disse la professoressa Milena che tre anni addietro ci diede il suo conforto. Appena alzata, quel mattino guardai fuori dalla finestra. Cadeva una piogerellina, così leggera e minuta che sembrava non tocasse terra. Vidi il postino che si stava avvicinando alla nostra casa. Mi vestii in fretta e gli andai incontro. Era arrivata una lettera di mio padre. La aprii subito senza esitare, ormai ero grande, sapevo leggere e fra mia madre e me non c’erano segreti. La lettera conteneva poche frasi, e questa volta erano scritte in italiano. “Sono stato graziato. Presto arriverò a casa. Vi voglio bene”. Non potevo credere ai miei occhi. Rilessi la lettera più volte e quando fui certa che avevo letto bene, commossa e felice mi inviai da mia madre per comunicarle la bella notizia. Arrivai in fabbrica quasi di corsa. Quando essa mi vide tutta arrossata e affannata cappì subito che era sucesso qualcosa di inconsueto. Anche perché a quell’ora avrei dovuto essere già a scuola. Le mostrai la lettera. Alcune sue compagne di lavoro che le stavano vicino lessero il contenuto ad alta voce. Fra noi ci furono baci e abbracci, una gioia quasi collettiva. Per un momento credetti all’amore tra gli uomini e alla loro bontà. Il Santo Natale, ormai, era prossimo. E con l’avvicinarsi delle festività cresceva in noi la convinzione che mio padre sarebbe arrivato presto. Passò il giorno di Natale, ma non perdemmo la speranza. Sentivamo nel nostro cuore che l’atteso momento era vicino. La sera di San Silvestro, dopo aver cenato, mia madre riordinò la cucina e preparò il letto per andare a dormire. Ad un tratto sentimmo dei rumori davanti all’ingresso di casa.
Abbassammo la voce. Per un attimo ci fù un silenzio assoluto, e poi si sentì un bussare alla porta, a brevi intervalli. Un bussare quasi timido e riguardoso. Mia madre non chiese: “Chi è?”, come era il suo solito, ma andò subito ad aprire la porta. Davanti a lei si presentò mio padre. Nel primo istante rimasero tutti e due come storditi, poi mia madre mi chiamò con un grido di gioia: “Sonia, vieni presto, è arrivato il papà!” Il cuore mi era venuto meno. Quante volte avevo immaginato il suo ritorno a casa, e adesso lui era quì! Gli corsi incontro, lui allargò le sue braccia e mi strinse calorosamente a sé. Vidi che lungo le sue guance scarne scendevano lacrime di gioia. Entrò con noi in cucina. Era vestito poco e male. Aveva addosso una giacca e dei pantaloni in tela blu, sgualciti, sudici e troppo grandi per il suo corpo magro. Con la testa rasata sembrava più piccolo di quanto in realtà non fosse. Avremmo voluto assalirlo di domande, ma il suo aspetto misero, emaciato, il suo sguardo e il suo sorriso mesto ci impedirono di chiedergli di raccontarci anche le cose più banali. Si cambiò i pantaloni e la giacca e si mise presso il fuoco, non ancora spento, a scaldarsi. Era tutto infreddolito. Mia madre gli preparò la cena, ma lui era troppo stanco e ammalato per poter mangiare. Prese solo un piatto di minestra e si sdraiò sul canapè. Voleva parlare con noi, ma debole ed estenuato, riuscì a dirci solamente: “Perdonatemi, non riesco a vincere la stanchezza”, e si addormentò immediatamente. Mia madre lo coprì con delle coperte lasciando in cucina la lampada accesa. Qualcosa però presto lo destò. Il suo animo non aveva trovato riposo. Sapeva che noi due, quella sera, avevamo voluto stare assieme a lui, per parlarci e raccontarci a vicenda. Entrò nella nostra stanza senza far rumore e ci abbracciò. Prima di addormentarmi ringraziai Gesù del dono che mi aveva fatto.
Il viaggio
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