Paesi di emigrazione
EritreaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)I ricordi di Aura Rali, bambina ai tempi del colonialismo italiano in Africa orientale, rievocano l’incontro con i leoni, nel corso di una scampagnata con la “Balilla” fuori Asmara.
Un giorno andammo a visitare un villaggio indigeno sulla strada per Adi Ugri. Era formato da una dozzina di “tucul” di fango con il tetto conico di paglia. Nel mezzo dello spiazzo intorno al quale erano costruiti, razzolavano delle gallinelle abissine col ciuffetto sulla testa e qualche capretta. Le donne sedevano in circolo, alcune con i figli piccoli legati sulla schiena, intente a macinare il loro grano saraceno che usavano per confezionare quella specie di piadina scura chiamata “ingera” della quale si cibano. Durante il pranzo siedono tutti per terra, intorno ad un grosso tegame di terracotta dove sobbolle lo “zighinì”, un tipico piatto locale simile ad uno spezzatino di varie carni e vegetali cotti in un intingolo a base di pomidoro, cipolla e dosi generose di “berberé”, un peperoncino estremamente piccante che unito ad altre spezie rende il pasto saporito ed “infernale”. Tutti vi attingono immergendovi pezzi di “ingera” che viene poi arrotolata tra le dita. Le donne erano tutte a seno nudo ma, vedendoci arrivare, si coprirono subito con la “futa”, una specie di telo di cotone grezzo di colore bianco che abitualmente portano sulla testa e sulle spalle, facendolo poi passare intorno al collo che usano adornare con collane di perline colorate, intessute a formare dei disegni molto originali. Si vestono di una specie di tunica bianca stretta in vita da una cintura in tessuto ma, quando vanno in città, viene spesso sostituita da una più elegante anche questa di perline colorate. Solitamente camminano scalzi e con il tempo la pianta dei piedi si ricopre di una callosità grigiastra che li rende insensibili alle asperità del terreno e consente di camminare a lungo, senza escoriarsi. Solo occasionalmente indossano calzature: gli uomini dei sandali di pelle di bufalo di colore marrone chiaro mentre le donne usano sandali di pelle di capretto in tinta rossa con degli inserti bianchi o blu molto decorativi che, assieme a delle borsette a forma di secchiello, si trovavano in vendita al mercato indigeno di Asmara dove anche la mamma qualche volta li acquistava per noi bambini che li indossavamo volentieri per la loro comodità e leggerezza.
La domenica era uno dei pochi momenti in cui eravamo tutti insieme. Era il giorno dedicato alle gite fuori città. Papà ci faceva accomodare sul sedile posteriore della sua “Balilla” e si partiva alla ventura verso uno dei tanti villaggi che circondavano la città, le concessioni degli innumerevoli amici di famiglia o più semplice- mente per una salutare camminata nei boschi di eucalipti.
Altre volte andavamo a vedere i leoni. Quando li avvistavamo papà iniziava a guidare molto lentamente mantenendosi ad una distanza di un centinaio di metri e ci raccomandava di osservare il silenzio più assoluto. In un giorno di calura ne trovammo un branco piuttosto numeroso composto da due o tre maschi e diverse femmine con i loro cuccioli. Gli adulti erano sdraiati sotto un grosso “baobab” e pur godendone l’ombra rimanevano vigili muovendo lentamente la coda mentre i cuccioli giocherellavano tra di loro o con le orecchie della madri. Ci osservavano con i loro occhi gialli, poco amichevoli, mentre le femmine ogni tanto lanciavano un ruggito quasi un avvertimento al che i piccoli sospendevano momentaneamente i loro giochi e si giravano verso di noi quasi con curiosità.
La “Balilla” intanto scivolava lentamente sulla pista con i finestrini ben chiusi che, oltre a darci sicurezza, ci risparmiavano il tanfo insopportabile che emanava dal gruppo e che si avvertiva anche da lontano.
C’era un maschio veramente maestoso con una folta criniera nera e qualche altro più giovane con la criniera gialla. Le leonesse erano circa una decina ed erano le più irrequiete del gruppo perché sorvegliavano i cuccioli. Alcune di loro andavano su e giù per il branco senza perderci di vista tenendo le orecchie aderenti alla testa e, di tanto in tanto, lanciavano un breve ruggito. Quando a loro parve che la nostra sosta si protraeva oltre il dovuto, il leone dalla criniera nera spalancando le fauci, emise un profondo e potente ruggito. Papà ritenne opportuno ingranare la marcia e ci allontanammo lentamente. “Davanti ai leoni non bisogna mai fare movimenti bruschi – ci spiegò papà – altrimenti assalgono”.
Forse tranquillizzato il leone riprese a guardare davanti a se con atteggiamento maestoso, disinteressandosi dei nostri movimenti. Anche le leonesse si calmarono e tornarono a sdraiarsi mentre i cuccioli ripresero i loro giochi mordicchiandosi a vicenda. La pace era tornata nel branco dei fantastici felini.
Il viaggio
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