Mestieri
pittoreLivello di scolarizzazione
diploma scuola media inferiorePaesi di emigrazione
Brasile, ArgentinaData di partenza
1923Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Il primo impatto con il Brasile, con Porto Alegre e, soprattutto, con la natura amazzonica lascia un solco profondo nell’animo sensibile del pittore Mario Bacchelli.
Già nel piroscafo m’ero fatto un piccolo circolo di nuovi amici portalegrensi, che mi davano a sperar molto bene rispetto a quel che m’attendeva nella città lagunare: tra questi un ragazzone brasiliano, giovialone e allegro, per necessità di vita commesso viaggiatore e per elezione amico d’artisti e di letterati, che mi servì poi, giunti che fummo, come tratto d’unione con le più colte, migliori e più intelligenti persone del luogo. Insieme con lui vidi scendendo a terra, durante una fermata lungo il viaggio una delle scene più malinconiche di cui io serbi ricordo: una città già prospera, ora quasi abbandonata e rosa dal tempo, fatta preda alla vegetazione che dalla foresta adiacente invadeva strade e case, come un verde immenso mollusco che penetri, abbranchi, avviluppi con mille tentacoli ogni cosa viva e la sommerga e l’affoghi. In me la vegetazione incolta, la foresta senza legge e freno umano, il matto virgem brasiliano ha sempre suscitato un senso di terrore e di raccapriccio. Le prime volte non me ne sapevo spiegare la ragione. M’avevan condotto a ammirare scene di natura intatta, foreste impenetrate, maestà di creazione illesa dalla mano dell’uomo: spettacoli che m’erano stati descritti e che avevo sempre immaginato non solo grandiosi e imponenti, ma stupendi e ammirevoli. A tale idea m’aveva naturalmente predisposto, oltre all’ereditaria tradizione romantica, anche l’abitudine (contratta fin da quando, ragazzo, uscivo dalla città per andare a cercar tra le colline soggetti per la mia pittura) di rifuggire il paesaggio addomesticato e profanato dalla mano dell’uomo, gli appezzamenti geometrici del terreno ridotto a coltivazione, i villinetti pretensioni che mi pareva guastassero le dolci linee dei colli, gli steccati, i cancelli e le reti metalliche che toglievano il pittoresco e il naturale ai prati, ai ruscelli, agli alberi; e di cercare invece, con quasi religiosa venerazione, gli aspetti del mondo non toccato, sciupato, falsato e immiserito dall’umano artificio. Ma quando mi capitò di veder veramente la natura vergine in quelle foreste brasiliane, io ne rimasi assai più frastornato che ammirato; e allora capii quanto la mano dell’uomo non solo addomestichi, ma renda nostro, comprensibile, sensibile, assimilabile, ammirevole il paesaggio: vidi come per l’uomo il mondo vive, per suo mezzo e per suo scopo, e come senza la sua mano il creato ci è lontano, estraneo, ostile. Così vidi nemica la foresta che alle porte delle città tropicali brasiliane, o al lati delle picadas, che son le vie tagliate nella viva massa del bosco impenetrato, domina assoluta e incontrastata. Mai, peraltro, quell’antica ostilità della foresta m’era apparsa così dichiarata, risvegliando quasi, sto per dire, atavici terrori primordiali, come in quella città assalita, invasa con inesorabile lentezza, semisommersa dal muschio, dall’edera, dalle liane, dalle erbe e dagli alberi, in una baia verde e azzurra del Brasile del sud.
Così profondo non sarebbe stato l’effetto della lenta, implacabile distruzione vegetale, se quella città fosse stata abbandonata per intero, se non vi fosse rimasto altro che ruderi tra il verde, come l’antico castello di Montignoso in vetta alla ridente collina che guarda il mare ai piedi delle montagne apuane, dove, quand’ero ragazzo, la superstizione dei contadini della pianura versiliese fantasticava abitasse un immenso, pericoloso serpente: dove, in realtà, gli ulivi crescono tra i ruderi e borraccine e capelvenere pendono dalle crepe delle antiche muraglie; e attorno sono prati e uliveti, dove pascolano vac-che e contadini zappano e cantano. Laggiù, invece, le rovine non sono soltanto ricordo del passato, ma fanno ancora parte della città che alberga abitanti poveri e sparuti, sul margine della verde putredine invadente. Le vie tra le quali gente ancor passa, proseguono verso e dentro quartieri abbandonati, i selciati affondano nell’erba e nel muschio, una vita vegetale umida e viscida invade, pervade di sé, copre, abbraccia, ammolla soglie e gradini, stipiti e travi, imputridisce sostegni e fa crollar tetti e solai.
Il viaggio
Mestieri
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diploma scuola media inferiorePaesi di emigrazione
Brasile, ArgentinaData di partenza
1923Periodo storico
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