Mestieri
baristaLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nella memoria di Giuseppe Vaglio, le assurde pretese del governatore Rodolfo Graziani e il tempo libero passato a giocare a biliardo.
La mattina mi svegliai di buon ora e dopo aver fatto colazione uscii per fare una passeggiata e conoscere meglio il centro. Alle otto e trenta precise suonò l’attenti per il passaggio del Governatore. Tutti si fermarono nel punto in cui si trovavano. Io che mi trovavo con la faccia voltata al muro pensavo che quello era uno strano modo di fermarsi. Perché uno squilibrato di Governatore doveva comportarsi in quel modo, pretendendo che tutta la popolazione si fermasse al suo passaggio, come se lui fosse il Padre Eterno?
In quell’istante passò la vettura e io involontariamente mi girai per guardare bene in faccia il Governatore. L’ultima moto di scorta si fermò davanti a me e un brigadiere della Polizia Coloniale mi chiese perché mi ero girato al passaggio del Governatore. In quel momento mi resi conto di aver sbagliato e rischiavo di essere rimpatriato. Feci il finto tonto e gli dissi: «Ah, quello è il signor Governatore? Mi scusi, signor brigadiere, ma io sono nuovo di qui e non conosco ancora le leggi locali, sono sbarcato cinque giorni fa, come Lei può constatare dal mio passaporto, e la prego di perdonarmi, le prometto che non accadrà più». Lui prese il mio passaporto, verificò la data di sbarco e mi disse: «Ah, sei di Palermo tu?» «Sì», risposi. «Beh, allora per questa volta ti lascio, anche perché siamo compaesani, ma ricordati che la prossima volta che non ti fermi al passaggio del Governatore sarai rimpatriato all’istante». Mi lasciò libero e per mia fortuna me la cavai bene. Avendo la mattina libera pensai di andare a bere qualcosa di fresco e fare una partita a biliardo se me ne fosse capitata l’occasione. Entrai al bar, presi un panino con prosciutto e ordinai una birra al robusto barista. Mi presentai a lui come collega e diventammo subito amici. Lui era di Varazze e aveva fatto il barista al bar della stazione centrale di Genova. Era venuto in Somalia da militare e su richiesta del proprietario del bar, anche lui di Varazze, si era fermato a lavorare a Mogadiscio. Dopo la lunga e piacevole chiacchierata, lo lasciai al suo lavoro e andai a vedere la sala del biliardo, il gioco che mi appassionava tanto. I sei biliardi della sala erano tutti occupati, con intorno decine di persone che guardavano lo svolgimento delle partite. Vi erano persone di tutte le parti dell’Italia, dal Piemonte alla Sicilia e alla Sardegna e molti parlavano nel loro dialetto. Alcuni giocavano alla goriziana a venti centesimi al punto, altri si giocavano da bere all’italiana e altri ancora a bazziga, a dieci lire la partita. La bazziga era un gioco d’azzardo ma permesso dalla legge locale. Ognuno dei giocatori giocava per conto suo e doveva essere abile nel chiudere la partita a trentun punti esatti, dopo di che ognuno degli altri giocatori pagava al vincitore dieci lire. lo guardavo questi giocatori di bazziga e notavo che non erano assi della stecca. Sapevano giocare benino, ma per me che ero un giocatore di carambola, erano tutti vulnerabilissimi. Così, quando uno di essi si stancò, chiesi di giocare al suo posto. Gli altri mi fecero presente che giocavano dieci lire a partita e vollero vedere prima se avevo i soldi in tasca per affron-tare le spese, anche perché avevano notato la mia giovane età. Feci vedere i soldi che avevo, oltre duecento lire, e mi fu permesso di partecipare al gioco. Volli perdere le prime due partite per non dare nell’occhio e non far pire che conoscevo il gioco molto meglio di loro: quando lo avessi voluto, arei fatto la bazziga a mio piacimento. Tenevo la stecca come un princpiante, ma saldamente impostata e pronta per il tiro che volevo fare. Dopo le due partite perse ne vinsi tre di seguito, subito dopo feci vincere una partita a un altro e poi vinsi ancora io. Andò avanti così fino a mezzogiorno e tutti smisero di giocare per andare a pranzo. A conti fatti, quella mattina avevo vinto centosessanta lire. Quelli che avevano giocato con me mi invitarono a ritornare nel pomeriggio per proseguire, nella speranza di rifarsi.
Il viaggio
Mestieri
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