Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Uno spaccato della vita in un villaggio sudanese degli anni ’70, nel diario di Silvana Conci.
Bol aveva incaricato alcuni operai di tinteggiare le pareti della nostra casa, i lavori procedevano molto lentamente. Avrei dovuto imparare ad adattarmi ad un ritmo di lavoro diverso da quello cui ero abituata. Durante la prima settimana di luglio andai in ospedale perché non mi sentivo bene. Fecero la prova del vetrino e accertarono un attacco di malaria. Non riuscivo né a mangiare né a bere e la febbre mi costringeva a letto. Ero preoccupata, secondo i miei calcoli avrei dovuto essere verso la fine del secondo mese di gravidanza. Presi le medicine, attenendomi con scrupolo alle prescrizioni del dottore, e nel giro di una settimana mi sentii meglio.
A Bentiu avevo un grande cortile: era terra grigia, piatta e secca. Il terreno era duro, eppure lo lavorai. Misi a dimora attorno alla veranda molte piantine di peperoncino che avevo precedentemente seminato in barattoli. I loro bei colori attiravano gli uccelli ed io mi sentivo meno sola. Seminai e trapiantai piantine di pomodoro, che crescevano bene e davano frutti buoni. Anche le piante di fagiolo crescevano, ma raccoglievo i fagioli col verme. Le piantine di arachide crescevano meglio se si aggiungeva sabbia al terreno. Preparai molte piantine di papaia, seminando in barattoli di latta che tenevo in veranda. In questo modo potevo risparmiare l’acqua e difendere i delicati germogli dagli insetti e da altri animali, soprattutto capre, che si aggiravano attorno alle case. Per questo speravo che John facesse riparare e completare il recinto attorno alla nostra casa come ci aveva promesso. Intanto i topi avevano mangiato tutti i semi degli agrumi che avevo messo a seccare, avrei dovuto prepararne altri. I Nuer passavano, guardavano, ridevano. Quando i pomodori erano ben maturi me li chiedevano. Io rispondevo: “Se vuoi ti do dei, semi da mettere davanti alla tua casa”. Sorridendo se ne andavano. I Nuer erano mandriani di mucche e “l’uomo delle mucche” non si sarebbe mai abbassato a fare il contadino. Solo le donne piantavano mais, durra e tabacco. Solo gli Arabi avevano l’abitudine di coltivare l’orto. E io non capivo come, di fronte alla fame, si potesse disdegnare la terra.
Il mio grande problema era l’acqua. Per aiutarmi, Bol si fece affidare un “durbarao”. Era usanza nell’Upper Nile che alcuni prigionieri lavorassero presso famiglie, le quali si assumevano la responsabilità del loro ultimo periodo di detenzione. In genere erano ragazzi che avevano partecipato a guerre tribali. Gli omicidi nel corso di guerre tribali, che erano molto frequenti tra Dinka e Nuer, erano considerati comunemente “reati minori”, sia dalla gente che da colui che sanciva la pena. I Nuer trovavano spesso dei motivi per provocare i Dinka, sia quando veniva loro rubata una mucca, sia quando veniva insidiata una donna. Per questioni di mucche la battaglia era certa. Tolti questi momenti drammatici, Nuer e Dinka convivevano pacificamente. I matrimoni tra le due tribù non erano insoliti e persino la loro lingua era simile, quasi avessero avuto un’unica origine. Altri omicidi o reati politici potevano venir puniti con la pena di morte, anzi con la legge del taglione. Anche se Bol non parlava spesso con me di queste cose, mi informò una volta di un caso clamoroso in cui un tale fu giustiziato con la lancia, poiché con quella aveva ucciso. I militari erano molto severi anche con i ragazzini. Intravidi e sentii più volte il rumore delle frustate passando accanto a posti di polizia. Questa pratica era usata per punire reati minori o piccoli furti. Nel tempo che rimasi a Bentiu ebbi tre “durbarao” Nuer e con tutti e tre mi trovai bene. Finita la prigionia però non c’era modo di trattenerli, neppure dietro compenso.
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