Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Nel volgere di un anno dalla nascita di Gloria, i rapporti tra Silvana e il marito Bol, padre della bambina, si deteriorano. Come scrive la stessa Silvana sul suo diario: “Eravamo entrambi infelici. Forse anche lui mi amava, ma tra noi c'era tutta l'Africa con usi, costumi, condizioni di vita, superstizioni, il suo vizio del bere, la mia gelosia e il destino”. È il preludio alla scelta di tornare a vivere in Italia con la bambina.
“Un Africano torna a vivere da Africano quando ritorna nella sua terra, fra la sua Gente”. Spesso mi ritornavano alla mente le parole delle suore. Io ero solo una donna. Ed ero sola. Avevo provato, su consiglio di suor Benedicta, a chiedere a mio marito se fosse possibile trasferirci in un’altra città, prendendo a scusa la mia salute, ma inutilmente. Non potevo rischiare di ripetermi. Del resto era comprensibile, era ormai troppo coinvolto. E a cosa sarebbe servito? Quando stavamo a Malakal beveva ancora di più, ed era allora che diventava maggiormente offensivo e pericoloso.
Prima di arrivare a Bentiu Gloria si ammalò di gastroenterite e ci dovemmo fermare ad un ambulatorio di un villaggio di cui non ricordo il nome. Ero angosciata nel vedere la bambina soffrire con un ago, che fungeva da flebo, infilato nel pancino. Arrivammo a Bentiu verso la metà di marzo del ’75 e di nuovo comparve la malaria. Ero ormai disperata e mi sentivo prigioniera. Davanti a me vedevo solo la morte. Eppure volevo salvarmi, volevo salvare mia figlia. Non so come mi venne l’idea, mi ricordai dell’università. Avrei potuto finire gli studi. Da laureata avrei avuto più prestigio, più possibilità di lavoro e di autonomia. Gli Africani erano sensibili al discorso dello studio e molto orgogliosi delle persone colte. Bol mi aveva detto più volte che i miei studi non erano validi perché non avevo frequentato la scuola, avendo dato gli esami da privatista. L’università l’avevo frequentata, avrei dovuto solo terminarla. Ne parlai con Bol e funzionò. Mi sembrò un miracolo. Forse era stanco di avere un moglie sempre ammalata. Ero troppo magra e molte persone glielo avevano fatto notare, soprattutto le donne arabe. La bambina si ammalava frequentemente e dovendo provvedere a noi non era libero di seguire come avrebbe voluto il suo lavoro. Se mi avesse permesso di laurearmi il suo orgoglio non ne avrebbe risentito, anzi! Decidemmo tutto in breve tempo. Scrissi l’indirizzo di Anna, la mia amica di Padova, per lasciarlo a mio marito. Non lo prese, mi disse: “Mi scriverai”. Lasciai l’indirizzo a Chuol pregandolo di scrivermi. Salutai con lo sguardo tutto ciò che avevo costruito con tanto amore: i letti, il giardino, la casa che avevo curato nei particolari. Salutai Chuol che avrei voluto portare in Italia con me, se avessimo avuto il denaro.
A Malakal trovai la mia amica Judy, una Zande. L’avevo conosciuta in Italia assieme a sua figlia Maddalena. L’avevo rivista a Juba, sempre con la sua bambina. Si era poi sposata con un pastore protestante tedesco e aveva avuto un altro bimbo. Fu lei ad aiutarci a raggiungere il babur, che si era già messo in moto, prestandoci il suo canotto. Arrivati a Kosti proseguimmo il viaggio in treno. Bol si dimostrò taciturno. Io cercavo di parlare ma senza ottenere risposta. Non volevo provocarlo in alcun modo, non in quel momento, così cadde il silenzio tra noi. Arrivammo a Khartoum il 14 aprile e fummo ospiti di un suo amico police, Nuer, di nome Lazarus Latjor. Egli era una persona estremamente educata e cortese. Aveva sposato una donna araba e avevano alcuni figli. Fu grazie a lui se Bol riuscì a procurarci tutti i documenti necessari e a non rimangiarsi la decisione presa. Rividi Maria Lucia alla scuola italiana. Parlammo a lungo ed essa mi aiutò anche finanziariamente. In quei giorni cercai di parlare con mio marito per farmi capire e per conoscere il suo pensiero, ma sembrava ammutolito. Non sapevo cosa pensare. Da tempo, da troppo tempo, non c’erano più tenerezze tra noi. Il sesso non mi importava, ma il sentimento? L’affetto?
Per pagarmi l’aereo Bol si indebitò con il suo datore di lavoro, cioè con il Governo. Ricordo, come fosse ora, quei due uomini all’aeroporto: mio marito ed il suo amico police. I miei occhi che ancora cercavano quelli di Bol per capire, per comprendere…In seguito il dubbio mi tormentò e mi condizionò. Non sapevo se mio marito mi amasse ancora, se mi avesse mai amato. L’accordo fu che, trascorsi due anni, ci avrebbe raggiunte in Italia. Il tempo per pagare il debito per il nostro viaggio. Il 27 aprile 1975 l’aereo decollò. Mi restava solo quella bimba tra le braccia. Era l’unica mia certezza e avrei fatto qualsiasi cosa per lei. Iniziava così un’altra fase della mia vita, l’Africa si stava allontanando. Solo a distanza di anni Maria Lucia mi disse che dopo la mia partenza Bol sembrava distrutto: non parlava e non mangiava. Eravamo entrambi infelici. Forse anche lui mi amava, ma tra noi c’era tutta l’Africa con usi, costumi, condizioni di vita, superstizioni, il suo vizio del bere, la mia gelosia e il destino.
Il viaggio
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