Mestieri
contadinoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nemmeno il tempo di diventare padre, che la guerra scoppia sulla testa di Giosino, di Taitù e del figlio neonato. Quella che segue è la descrizione del coinvolgimento di Giosino nella campagna dell'Africa orientale italiana, fino alla resa dell'Amba Alagi. E di come è riuscito a salvarsi dalla decapitazione.
Alla fine del ’40 la mia Taitù rimase incinta. Feci appena in tempo ad esserne felice pensando ad un futuro con una vera famiglia in un bel posto dove non ci sarebbe mancato niente e avrei fatto fortuna che la guerra e gli inglesi avanzarono. C’erano gli attacchi degli Hurricane e le nostre forze erano inferiori, era la guerra, non potei più vedere Taitù e mio figlio. Eravamo in piena guerra e questo vuol dire operazioni, attacchi, missioni, scompiglio, ricerca di campi di fortuna, dovevamo pensare solo a salvarci la vita. Non so come ma per l’Italia dopo 6 aprile 1941 io non sono più in operazioni di guerra. Il 22 aprile di quell’anno gli inglesi con le truppe del gen. Cunningharn ci cacciavano da Dessiè.
Ero mitragliere di coda. Avevamo i Caproni 133 e 333 che avevano velocità inferiori a quelle degli Hurricane. A Cobbò, al Passo della Morte, alcuni ufficiali organizzarono la rivolta della tribù Azebò Galla ostili al Negus, io assistetti quando il Generale Murat di Fontanarosa formò un gruppo di Callesedam armati di scimitarre e delle armi nostre. Li vidi quando tornarono vincitori e festeggiavano. Ballavano e al collo ballava con loro una collana di coglioni che sembravano perine secche. I ribelli di Ras Hairum e Ras Solum erano terribili. Abbattei un Hurricane con la mitraglia a disco posta sulla torretta, anche se non era buona a colpire neanche una mosca! L’Hurricane aveva 8 mitraglie e andava a una velocità almeno il doppio della nostra. E’ sicuro , fu un proiettile matto ad andare nella fusoliera, sparai, sparai . Sull’aereo c’era il Capitano e l’equipaggio, fui premiato sul campo con una medaglia. Un maresciallo dei Carabinieri mi diede l’ordine di fare un servizio in cucina , io gli dissi: “Accetto ordini solo dai miei superiori (dell’aviazione).” Siccome non avevo eseguito il comando fui legato ad un palo nello spiazzo del campo dove c’erano gli aerei , indosso avevo solo i calzoncini e fui coperto di marmellata. Per due giorni e due notti rimasi là, ad un sole terribile di giorno e freddo la notte, senza mangiare ne’ bere con gli insetti che mi mangiavano di gusto. Intanto c’erano i bombardamenti e io ero legato là come un fesso. Pensai a come avrei fatto a togliere di mezzo quel maresciallo una volta slegato: durante un’incursione nella confusione lo avrei fatto fuori. Mi fece slegare un sergente che mi consiglio’ di stare più tranquillo. Non so come mai, ma quel maresciallo non me lo vidi mai più davanti. Non sopportavo gli sbruffoni superbi. Le donne del posto erano molta buone e noi andavamo da loro per comprare le uova, chiedevamo: “Ancolallè?” Loro ormai non potevano più darci niente perché avevano paura dei loro uomini che erano capaci di ammazzarle per averci aiutato. La guerra è brutta e gli uomini in guerra non sono tutti uguali. Ero nella Piana di Cobbò con le trasmissioni e il fronte avanzava da Addis Abeba. Era la guerra, nella disfatta io ed altri 35, dotati della centrale trasmittente ci dirigemmo verso l’Amba Alagi. Giunti nelle retrovie, quella’ notte di maggio pioveva, ci riparammo sotto un costone e mandammo un messaggio al Duca D’Aosta che era già sul monte. Egli ci diede questo ordine: “Non venite qui, non c’è posto, restereste scoperti. Avete già fatto il vostro dovere, andate via da qui .” Noi ci dicemmo: “Se andiamo indietro ci ammazzano, ci sono inglesi e ribelli dappertutto, possiamo solo raggiungere le postazioni dei nostri” e salimmo. Pioveva. C’erano tuoni, lampi e bombardamenti inglesi. Ci riparammo sotto un ponte, ma i ribelli ci accerchiarono. Ci legarono le mani dietro e ci portarono nella loro Casa della Giustizia : un tucul molto grande. Ci disposero in cerchio attorno ad una specie di sedia legata in alto su quattro pali dove c’era il loro capo. Le pareti erano fatte con foglie grandi così ogni due metri della circonferenza del tucul c’era un grande palo che reggeva queste foglie. Cominciarono a ballare una fantasia attorno a noi e ad ogni giro con un colpo secco di scimitarra tagliavano la testa di uno di noi, era terribile vedere i corpi dei miei compagni senza la testa restare in piedi con le convulsioni’ e il sangue che schizzava da tutte le parti prima di cadere a terra. Quella era la morte che mi aspettava. Ne avevano già uccisi parecchi, restavamo in nove. Invece della camicia portavo una sahariana che mi stava fuori dai pantaloni. Per sicurezza avevo sempre, una granata Balilla nella tasca di dietro. Di per se’ non è una bomba dirompente, ma se esplode al chiuso l’effetto è maggiore. In quei minuti pensai che l’unica speranza per me era di lasciare cadere a terra la bomba, ma dovevo fare attenzione perché scoppia dopo dieci secondi e se io l’avessi lasciata cadere troppo presto se ne sarebbero accorti e avrei fatto la fine degli altri e se avessi aspettato troppo saltavo per aria anche io. Non potevo neppure far capire ai miei compagni quello che stavo per fare. Ormai si trattava solo di salvare la pelle. Prima di strappare la linguetta guardai bene con un occhio solo la via di fuga, mi preparai a scattare di corsa e tirai la sicura. Contai fino a 8 poi lasciai cader dolcemente la bomba e mi ritrovai da solo in mezzo ad uno spiazzo senza più ombra di tucul, di ribelli e di compagni. Non ne rividi nessuno. Era la guerra. Da solo raggiunsi le nostre postazioni.
Il viaggio
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