Mestieri
insegnantiLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1938Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Anno 1938. Carla è un’ebrea italiana, Alex un ebreo russo fuggito da Odessa nel 1917. Sono sposati e vivono a Firenze, hanno due bambine. Alex insegna Filosofia del diritto, Carla studia per laurearsi in Giurisprudenza. Il 10 luglio nasce la loro terza figlia. Il 14 luglio, dalle prime pagine dei giornali, apprendono una notizia che sconvolgerà per sempre la loro vita e quella di tutti gli ebrei italiani: è il Manifesto della razza.
Volgendomi indietro, non posso capire come, nell’autunno del 1937, io potessi avere tanta fede nella vita da iscrivermi alla Facoltà di Legge e da pianificare un altro figlio. La nostra seconda figlia, Simona, era nata l’anno precedente e Alex pensava che due figlie fossero più che sufficienti. Ancora una volta egli portò avanti l’argomento della Facoltà di Legge, il che era proprio tipico del suo carattere. Egli riteneva che le azioni dovessero essere provocate da impulsi e convinzioni, senza una preoccupazione eccessiva per le circostanze. “Se io avessi aspettato il semaforo verde – soleva dire – sarei ancora ad Odessa!” Ma io, io ho avuto sempre il più grande rispetto per i semafori verdi. Come potevo in qualche modo voler portare un altro bambino nel mondo in cui stavamo vivendo? Come potevo in qualche modo pensare che i miei studi di Legge avrebbero avuto un futuro, che un giorno io avrei esercitato l’avvocatura con Alex? Eppure tutto quello che feci fu di tormentarlo per scherzo. “Frequenterò l’Università, – lo sfidai – se potrò avere un altro bambino!” E questo è il modo in cui andarono le cose. Durante quell’inverno lavorai molto tenacemente e, per quanto ricordo, molto felicemente. Non mi lasciai sfuggire affatto le mie amiche e le partite di bridge. L’Università distava soltanto pochi isolati dal nostro appartamento e potevo stare in classe ad una certa ora ed essere con le mie bambine l’ora seguente. Neppure le mie bambine sentirono troppo la mia mancanza. Non c’era a disposizione solo una fedele bambinaia, ma c’erano nonne, zie e cugine soltanto troppo zelanti nell’assisterle. La trasformazione da giovane padrona di casa in studentessa era per se stessa esilarante. Discutere le materie di studio con Alex, collaborare con lui ad alcune pratiche poco importanti, trovare che alla matura età di trent’anni la mente non era arrugginita erano nuove fonti di soddisfazione. Per quanto riguarda ciò che ci aspettava, devo concludere che – consapevoli come eravamo che il cerchio intorno a noi diveniva sempre più stretto, influenzati come eravamo dal destino incombente – dobbiamo semplicemente aver mancato di immaginazione.
La nostra terza figlia, Rossella, nacque il 10 luglio 1938 e noi accogliemmo l’evento con una gioia che non era offuscata dalle circostanze. In quell’epoca ci si aspettava che una donna restasse a letto una settimana dopo il parto, e io mi godetti il riposo. Il mio letto era soltanto a pochi passi dalle porte-finestre aperte sulla terrazza e al di là di essa i miei occhi si soffermavano sugli alberi del giardino dell’abitazione vicina. Uno di essi, una magnolia, emanava una pungente, irresistibile fragranza. La settimana non era ancora finita quando io presi il giornale del mattino che Alex aveva dimenticato li, mentre andava a far colazione. Esso recava un enorme titolo in prima pagina: “GLI EBREI NON SONO DI RAZZA ITALIANA”. Sotto veniva ciò che fu chiamato il “Manifesto della Razza”, che elencava dieci punti per chiarire il concetto di razza e la posizione degli Ebrei in esso. La scure era caduta, sebbene alla gente, compresi gli Ebrei italiani, ci volesse un lungo periodo per assorbire pienamente le implicazioni di tutto ciò. Quell’estate avevamo preso in affitto una casa a Gavinana, un piccolo paese di villeggiatura sugli Appennini non lontano da Firenze. Noi andammo avanti secondo i nostri programmi, aspettando più o meno ciò che sarebbe poi accaduto. Mia sorella e la sua famiglia ci raggiunsero là. Così fecero zio Giorgio e sua moglie da Roma. Tutti noi sentivamo il bisogno di riunirci insieme e di consultarci sul prossimo passo. Era evidente che la pubblicazione del Manifesto (le firme di vari “scienziati” vi erano state attaccate pochi giorni dopo) era solo un preludio. Un preludio a che cosa? Era evidente che la co-sa migliore che noi tutti potessimo fare era emigrare. Ma quando? E dove? Mario, il marito di Luciana, era un fervente sionista ed essi aveva l‘intenzione di trasferirsi in Palestina, allora sotto mandato inglese. Giorgio aveva un cognato in Argentina ed essi pensavano al Sud America. Solo noi eravamo incerti.
Nel frattempo i giorni passavano. Io stavo allattando la piccola Rossella, giocando con le bambine più grandi e i figli di Luciana nel cortile posteriore della nostra casa e preparandomi ostinatamente per i miei esami di Legge della sessione autunnale. Fotografie, che stranamente mi hanno seguito fino a oggi, mostrano una Daniela di cinque anni che sostiene la sua sorellina con timore e orgoglio; Luciana e me che guardiamo altrove, tenendoci abbracciate; Giorgio e sua moglie che sorridono guardando la macchina fotografica. Gesti ed espressioni non sono diversi da quelli comuni a tutti gli album di famiglia. Dietro di essi c’era la debole consapevolezza che il nostro mondo comune andava verso una fine.
Il viaggio
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Francia, Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1938Periodo storico
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