Mestieri
giornalistaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
MozambicoData di partenza
1984Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo giorni di attesa, dovuti all'impossibilità di trovare un trasporto aereo per l’Europa, finalmente Ivanna e gli altri componenti della delegazione del comune di Reggio Emilia in viaggio in Mozambico, hanno la possibilità di tornare a casa.
Giovanotti spazzolano sculture di sandalo e di ebano con lucido da scarpe; un uomo senza gambe si sposta a saltelli aiutandosi coi glutei e con le palme delle mani. Le donne comprano erbaggi tenendo bambini con la bocca attaccata a seni coperti di venuzze. Un uomo fa la punta o taglia a pezzi radici dall’interno color zolfo, forse è curcuma. Arance verdi, frutti bitorzoluti e turgidi, semi polverulenti, zafferano, fogliame non identificato, forse betel; cavoli; pesce dall’odore stantìo; oggetti, cappelli e borse di paglia; utensileria di legno; drogheria e farmacia in bottiglie, scatolini, coperchietti, fiale con etichette scritte a mano. L’autista ci porta poi a visitare un giardino zoologico decisamente in disarmo, come tante eredità dei portoghesi. Almeno la metà del personale sta ammucchiando con la scopa i fiori viola caduti sul prato. Vediamo i seguenti animali: alcuni piccioni chiusi in una voliera; due maiali grassi, alcune anatre e galline faraone. Sono questi i loro animali esotici. La fauna locale è rappresentata da due esemplari di coccodrillo duri e immobili, un ippopotamo con gli occhi a pelo dell’acqua che sbadiglia due volte, un leone con un occhio solo. Ci sono anche due o tre tipi di animali feroci, impressionanti soprattutto perché si possono incontrare in loco. Interessante invece il Museo di arte locale, che può far venire la passione per gli oggetti primitivi ma complessi, molto belli, realizzati nel legno detto pao pao.
Ulteriore pranzo su invito del Sindaco e Signora, dentro una serra coperta, dove vedo piante lussureggianti come quelle che ho in casa mia, ficus, papiri pothus vari tipi di bambù intorno a laghetti con pesci rossi. Qui però le piante sono enormi, alcune sono fiorite e danno perfino frutti. C’è anche una statua di Diana in marmo. Ci sediamo attorno a una tavola a ferro di cavallo, ci servono uno splendido pranzo indigeno. Polenta di manioca bianca, tortellini triangolari indiani piccanti, budini gialli, purea di formaggi, gamberoni. Ci sono anche piccoli polli arrosto. ‘E’ una razza particolare?’ chiedo. ‘No, sono solo denutriti’ mi risponde il Ministro dell’Agricoltura. Il dolce di tapioca e batata è delizioso, il vino è del migliore. Rompo un calice di Mateus. Scambio di doni: gli uomini ricevono un tremendo posacenere di marmo; a me tocca un braccialetto di avorio. Soncini regala uno smacchiatore k2 a un membro del consiglio municipale, che non a dove metterlo.
Silva mi fa dei complimenti che danno da pensare. Io ho trentotto anni e mi presento bene. Lui dice che alla mia età, in Africa, le donne sono ormai vecchie. Il Ministro mi impegna in una fitta conversazione e mi costringe a visitare con Soncini il suo centro di formazione per quadri agricoli, attiguo alla serra. La didattica è elementare, concreta e visiva, basata su presepi mobili con modellini, animaletti e capannine. Aprirà tra 15 giorni e c’è un gran lavoro di vernici e pennelli; esuli coreani e cileni danno una mano. Il ministro Ferreira dice che ieri ci ha incontrato mentre partivamo in elicottero. Lui invece tornava dall’aver consegnato armi ad un villaggio. La gente aveva dato una festa in suo onore per ringraziarlo. Una cosa che qui sembra normale. Ci tiene molto a venire a Reggio, ha una stretta di mano che stritola gli ossi.
Andiamo a fare le valige. Forse stiamo davvero per tornare a casa. Sull’oceano, solitamente deserto, appare un peschereccio. Sono le cinque del pomeriggio. L’Agenzia di Informazioni trasmette che in questo momento è stato comunicato il ‘cessate il fuoco’ col Renamo. Ognuno esce dalla sua camera con un bagaglio composto da fagotti informi, sculture primitive, tronchi, conchiglie, mascheroni…Le borse di paglia, graziosamente femminili, sono state rinforzate con sacchetti da mangimificio. Uscire da un albergo a 5 stelle così conciati! Io almeno ho comprato per pochi meticais un bel bauletto in paglia. All’aeroporto ci sediamo in mezzo alle valige, in attesa. Sono giorni e giorni che stiamo partendo. Se la partenza è così lunga e tribolata, figuriamoci il viaggio per Zurigo! Sì, andiamo a Lisbona e di lì in Svizzera, per arrivare prima. Saranno nove ore complessive di attesa e un totale di 30 ore di viaggio.
Sono le 19, incredibile, si decolla davvero. Il viaggio è normale, ci danno salviette profumate calde per pulirci dai baci. Poi cena e coperte. Si dorme malissimo, con tutta questa gente che parla ad alta voce e non spegne la luce. A mezzanotte ci scaricano a Luanda, in Angola, in mezzo ad un accampamento di viaggiatori prevalentemente indiani che hanno occupato prima di noi, con figli e biberon, tutte le poltrone poco pulite della sala d’aspetto. La moquette verde è lisa, macchiata e piena di buchi. Sto due ore e mezza seduta su un cartone vuoto di Blak and White: emblematico. Sto in equilibrio per non sfondarlo. Gli altri camminano avanti e indietro per tutto il tempo. Non si fidano né di bere qualcosa al bar né di avventurarsi al gabinetto. Davanti a me passeggiano due enormi donne indiane e due enormi donne africane. Bambini piangono, fa caldo, non c’è aria. Per annunciare la partenza, niente microfoni. Solo un battito di mani e tutti si precipitano all’uscita. Una delle donne enormi mi dà un colpo d’anca per guadagnare la porta prima di me. Sull’aereo, Baldi si accorge che gli mancano gli occhiali e le sigarette. Il posto di Soncini è assaltato da un gruppo di ceffi barbuti alterati dalla birra. Litigano per fargli ridimensionare la disposizione delle borse. Li fa soprattutto imbestialire una sua ingombrante valigia. Non c’è verso di partire, ci contano e ricontano cinque o sei volte. Qualcuno evidentemente manca all’appello. Il caldo è insopportabile. Uno steward spruzza un giro un flit profumato sui nostri sudori equatoriali. Non so se il viaggiatore disperso arriva o se viene abbandonato al suo destino. Si decolla. Riusciamo a dormire fino a quando, sul Sahara, compare la striscia chiara dell’alba. A quel punto, l’aereo punta a occidente. Colpi di tosse da freddo si sentono per tutto l’aereo, ombre scure vanno al gabinetto presto per prepararsi. A Lisbona ognuno afferra la sua sportina. Il sindaco ha avvolto in un asciugamano le sue sculture. Noi ci sentiamo ormai dei maconder. Invece quando saliamo a bordo nell’aereo per Zurigo la hostess ci saluta dicendo ‘Italiani!’
In questa tratta passiamo attraverso molti vuoti d’aria e teniamo per tutto il tempo le cinture allacciate, con scivolate verso il vuoto che rimangono nella testa e nelle gambe. Continuiamo a sentirne l’impressione anche all’aeroporto svizzero, durante le 4 ore di attesa, seduti tra le nostre sporte africane da cui sbucano mostri neri aggrovigliati e spastici. Non facciamo altro che confrontare Zurigo a Pemba e a Luanda, come se ce ne fosse bisogno. Il dott. Iori sta male, ha la nausea e la diarrea e pensa di aver preso solo lui (il medico!) una malattia tropicale. Teme di perdere l’aereo tra una seduta e l’altra. Noi intanto prepariamo la conferenza stampa e il rientro in Consiglio comunale. L’opposizione che non ha preso parte al viaggio, cioè il consigliere Monducci, ci aspetta al varco. La nostra full immersion nell’Africa nera ci ha molto colpiti, non è mal d’Africa ma poco ci manca. Soncini ai miei occhi è enormemente aumentato di statura. Anche perché sta meditando di stringere un gemellaggio con gli Stati Uniti: ha una visione mondiale delle cose. Qualcuno pensa che il gemellaggio con Forth Worth in Texas serva a riequilibrare politicamente la collocazione internazionale di Reggio (!), troppo filorussa. Errore. Sono sicura che lui pensa che gli Stati Uniti possano essere utili allo sviluppo del suo Mozambico.
Quando faccio sviluppare i rullini ho una brutta sorpresa. Li ho usati due volte, le immagini sovraimpresse sono inguardabili. Una sola è venuta bene, mostra Chierici con una capra legata a un orecchio.
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