Mestieri
infermieraLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
MadagascarData di partenza
2001Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’arrivo in Madagascar nel 2001 e le prime impressioni di Annapia, un’infermiera volontaria che vola in Africa per prestare aiuto negli ospedali locali
lunedì 10 settembre 2001
Ore 12.15 sono arrivata alla capitale (Antananarivo, detta familiarmente Tanà) dopo un lungo viaggio in aereo di circa 11 ore da Roma.
Manazary giovedì 13 settembre 2001
Questi primi giorni sono stati un po’ difficili ma anche ricchi di novità. Difficili perché un po’ di nostalgia si sente ed anche perché non essendomi ancora stabilita, resta un po’ dí preoccupazione e mi chiedo: sarò capace? E poi la lingua è un problema non indifferente; ho scoperto infatti che il francese è conosciuto e parlato solo da chi ha studiato. Posso cioè dialogare con le suore in comunità e con gli insegnanti ma per parlare con giovani e bambini è necessario conoscere il malgascio. Però in due giorni ho “già imparato” una ventina di parole e ben due frasi! Le suore sono contente della mìa bravura! Comincio a capire (almeno un po’) cosa prova un africano quando viene in Italia; mentre giro per le strade, infatti, tante persone escono dalle case per vedermi e i bambini esclamano “il vazaha!” (lo straniero). Adesso sono ospite in una missione in “Brousse” in attesa di partire per la casa di Mahajanga. Ma cominciamo dall’inizio. Il giorno che sono arrivata (lunedì 10), alla dogana mi hanno controllato il passaporto 4 volte, hanno aperto la valigia ed hanno voluto vedere tutto quello che c’era. Le suore sono venute a prendermi all’aeroporto (hanno una casa molto vicino), ho mangiato con loro e, visto che dovevo aspettare fino a venerdì per poter partire per Mahajanga, mi è stato proposto di andare alcuni giorni in “campagna”, a Manazary. Questo paese è a circa 120 chilometri dalla capitale e ci sono volute 5 ore per percorrerli! Il viaggio è andato così: ìo e la suora che è venuta a prendermi in aeroporto (ed abita proprio in questo paese) abbiamo preso una specie di taxi (detto “Taxi-Brousse”) per 12 persone. Intanto già a guardarlo … tutto sporco, i sedili rotti… Poi la partenza: è stato necessario spingerlo a mano ma finalmente il motore si accende e via! Dopo un po’ di chilometri, però, dal cofano esce fumo; l’autista si ferma: manca l’acqua. Per fortuna nelle vicinanze c’è un piccolo corso d’acqua… e ín fretta si riparte.
Questo succede tre volte ma alla terza l’autista ci dice che non è più possibile riavviare il motore. A quel punto la suora ha chiesto ad un camion di dare un passaggio a me ed a lei ma niente da fare perché c’è tanta polizia e i camion non possono caricare più di un certo numero di persone. Poi passa un’altro camion: è disponibile a prenderci. In questi giorni ho scoperto che fuori città è abitudine caricare tutti quelli che chiedono un passaggio finché c’è posto perché sono pochi quelli che hanno delle auto e quasi tutti vanno a piedi; le suore, perciò, dicono che i malgasci sono “un popolo in cammino”. Il camion ci lascia ad una missione vicina. Chiamiamo ma nessuno viene ad aprire, poi finalmente dopo vari tentativi esce una suora che ci porta al paese vicino (Miarinarivo) dove ci aspettava da più di due ore un’altra suora della nostra comunità che abita anche lei a Manazary. Saliamo con lei e finalmente facciamo l’ultima parte di strada. Fín qui era tutta asfaltata ma ora diventa sterrata con buche enormi e passaggi molto stretti. Ci è voluta circa un’ora per questi ultimi 22 chilometri. Finalmente alle 19.30 arriviamo. E’ buio e poiché in questo paesino non c’è elettricità non vedo niente e non riesco a rendermi conto di come sia. Le suore mi hanno accolto con gioia e affetto: mangiamo insieme e mi mandano subito a letto. Accetto volentieri: il viaggio dalla capitale mi ha stancato e in aereo (ho viaggiato durante la notte) non ho mai dormito. Il giorno dopo, martedì, col sole vedo il paesaggio: è bellissimo, collinare, aperto e mi sento già felice di essere qui! Una ragazzina del villaggio mi accompagna a vedere il paese e comincia a insegnarmi qualche parola di malgascio. Non è facile capirsi perché lei conosce poco il francese ma è contenta di “essere la mia guida”. Da piccola ha avuto una grave otite che le ha compromesso l’udito. Le suore si sono attivate per farla curare e procurarle l’apparecchio acustico. Ho avuto il mio primo impatto con la povertà. Le case sono di terra rossa (argillosa); il Madagascar viene detto anche “Isola rossa” perché è tutto rosso, anche ì fiumi. Ci sono anche case in terra di due piani. Alcune sono costruite con mattoni di terra. Sono molto piccole con il tetto in paglia o in lamiera. Ne ho viste due con le tegole. Mi hanno detto che dai tetti non entra l’acqua quando piove (neanche da quelli di paglia). Le pareti esterne sono ricoperte da sterco che le protegge.
Il viaggio
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2001Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Annapia Sogliani
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