Mestieri
videomakerLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BoliviaData di partenza
2008Data di ritorno
2009Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gabriele Camelo è in Bolivia, opera con il VIS in un progetto di reinserimento sociale per i ragazzi di strada.
Reggaeton. Musica tipica, ascoltatissima da tutti qui.
Simil-discoteca, simil-rap – la stessa base usata in ciascuna canzone, lo stesso ritmo: cambiano solo la voce e le parole. Ecco, questo è un po’ buffo: un genere legato ad un’unica base musicale.
Musica a palla, dentro le mie orecchie.
6,40 del mattino. Qui i ragazzi si svegliano presto, ed evidentemente nelle loro abitudini di sveglia c’è questa musica tutt’altro che soave.
Oggi mi aspetta il corso di yogurt: io ed Edwin, dopo colazione, ci avviamo a piedi verso il collegio gestito dai salesiani dove c’è una piccola industria di latticini.
Il cammino è bello, sento che respiro. Mi sorprende come la natura sia uguale e diversa nello stesso tempo – in posti diversi. Diversa nelle forme, nei colori, nei frutti mai visti e mai assaggiati in Italia, sapori dolciastri e pezzi di frutta fra i denti – uguale nella sua splendida, magnifica simmetria, ordine, bellezza. Qui respiro, perché mi sento a casa, camminando e inspirando l’odore dell’erba appena tagliata. Non esiste sporcizia qui, non esiste altro mondo: è lo stesso mondo che da sempre conosco, poiché dall’Italia alla Bolivia, la natura mi regala le stesse sensazioni. Respiro. Respiro, e parlo.
Ho una domanda dentro la testa, che non so se è il caso di fare.
Mi butto.
“Edwin, com’è che sei qui?”.
Camminiamo, io lo guardo, poi entrambi guardiamo i nostri passi.
“La risposta è molto lunga”.
Lo rassicuro, cercando anche di lasciarlo libero di non rispondere: “se ti va di raccontarmi, a me non spaventano le storie lunghe, mi piacciono”.
“Sì mi va. Sono nato fra madre, padre, e sangue. Mio padre picchiava mia madre. Sangue. Io non lo potevo vedere quel sangue. A otto anni imparai a guadagnare qualcosa vendendo gelati per strada: un anno dopo scappai di casa. Vivevo per strada, con cattive compagnie: ho iniziato a fumare marijuana, poi coca e crack. A poco a poco diventai estremamente dipendente dalla droga. A quattordici anni conobbi Techo, e con Techo Paolo. Paolo mi parlò del percorso che potevo fare: l’ho fatto. E’ stato difficile. C’erano giorni che tremavo: le mie mani tremavano, avevo spasmi allucinanti, avevo bisogno della droga. A quindici anni sono arrivato alla fattoria. Per un anno sono stato ospite della fattoria, poi ho incominciato a lavorare, sono uscito dalla droga, sono cresciuto, ed ora eccomi qui che faccio l’educatore”.
Edwin in poche parole mi ha raccontato tutto. Tutto: una vita. Continua: “Spero di fare qualcosa di diverso rispetto a tutti gli educatori che ho conosciuto. Loro mi piacevano perché mi facevano divertire. Ma io non ho trovato molte persone con cui parlare. Io voglio parlare con i ragazzi, parlare. Fare domande, stimolarli, mostrare loro un percorso, un progetto, fargli vedere dove io sono arrivato”.
Pausa. Passi. Silenzio. E poi:
“io mi ammiro”.
Passi. Gli metto una mano sulla testa e lo abbraccio camminando, sorrido, lo guardo: “anche io ti ammiro, Edwin”.
Edwin è veramente un ragazzo d’oro. Lo osservo mentre nella piccola fabbrica ci spiegano come fare lo yogurt (anche qui reggaeton a palla): in ogni suo gesto traspare un profondo rispetto per l’ambiente e per le persone. È servizievole, empatico: Fernando (l’omino che ci mostra come fare lo yogurt) lavorando lo yogurt sporca qualche brocca, e poi la lava, Edwin registra il gesto e subito dopo, appena appare una brocca sporca, la prende e la lava lui stesso. Quando finiamo, Edwin vuole rimanere un altro po’ a lavorare lì.
Al ritorno parliamo dell’Italia: Edwin ha dei grandi sogni.
In un giorno, la storia di questo ragazzo mi è entrata nel cuore.
La sera, mi addormento pensando ancora a lui, e pregando.
Il viaggio
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