Mestieri
assistente tecnico, contadinaLivello di scolarizzazione
diploma scuola media superiorePaesi di emigrazione
Sud AfricaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Francesca Mengoni descrive le prime giornate trascorse a Città del Capo nel 1996, in occasione di un lungo viaggio condiviso con la compagna, Sandy.
Città del Capo La colazione all’inglese dell’hotel è ciclopica, venti metri di roba da mangiare: uova fritte, bacon, frutta di ogni tipo, patate, patatine, maionese, yogurt, ogni tipo di formaggio, ogni tipo di corn flakes, ogni tipo di marmellata, tanto che non riesco nemmeno a distinguere. C’è anche una quantità sproporzionata di succhi ma io, che sono un po’ fissata, esigo un bicchiere d’acqua, la mia deve essere una strana richiesta poiché sono in tre ad agitarsi per procurarmi un bicchiere d’acqua, dopo una breve attesa me lo porgono soffermandosi con lo sguardo su di me, come fossi un’imperscrutabile incognita. Proseguiamo la colazione sedute al tavolo notando che il nostro abbigliamento non è consono al resto dei presenti, che importa, sono invece molto più attratta dal pane fragrante ricco di semi diversi, le varie salsine, i formaggi, le uova fritte sulla piastra. Sandy telefona alla sua amica Myrna. Lei non è presente, ma suo fratello ci tranquillizza che possiamo essere ospiti da loro. Confortata da questa prima bella notte scendiamo nella hall alla ricerca del nostro taxi. L’uomo ci sta aspettando, con piacere ci lasciamo accompagnare. Sandy e quest’uomo chiacchierano allegramente per tutto il tragitto commentando con soddisfazione il nuovo corso storico del Sudafrica. Lungo la strada non posso evitare di notare l’infinita distesa di baracche, occupate dalla popolazione africana, che circonda tutta Città del Capo. Chilometri e chilometri di abitazioni sprovviste di acqua, luce e gas. Chilometri di abitazioni che erano abbattute dalle ruspe della polizia dei bianchi durante il periodo dell’apartheid ed immediatamente ricostruite dai numerosi nomadi africani che affluivano verso la città. Un agglomerato che è destinato ad ingigantirsi oltre ogni adeguatezza.
Stiamo già muovendoci tra le villette dei sudafricani bianchi di Città del Capo, Sandy è incandescente ed impaziente: “Stiamo arrivando…” Da una casa a due piani scende una lentigginosa ragazza adolescente con un appariscente vestito a volant di pizzo azzurri e rosa. Forse la sto osservando con notevole sconcerto perché Sandy prova subito a rassicurarmi: “Quelli sono boeri… quelli sono boeri, stai tranquilla, ce ne sono pochissimi in questo quartiere!” Superiamo ancora alcuni incroci per raggiungere infine la nostra destinazione. Ho il primo scompiglio interiore con la mia amica Sandy. Non capisco bene la veloce conversazione in inglese, ma sembra che il taxista voglia una compensazione di soldi perché la strada compiuta è maggiore di quella prevista dalla compagnia aerea. Sandy, naturalmente, non ne vuol sapere. Il taxista si deve accontentare, inutile insistere con lei, con la povera Sandy, lei è irremovibile e lui se ne parte un po’ irritato. Dentro di me inizia un insidioso groviglio di risentimento nei confronti di Sandy devo riconoscere la sua notevole forza di volontà e la sua capacità di arrangiarsi, ma in questo caso mi sembra si stia approfittando oltre il consentito, ma lei conosce questo posto e sa viaggiare, forse semplicemente non vuole essere fregata. Ci ricevono abbaiando due cani, uno grande bianco con il pelo lungo e cespuglioso ed uno piccolo nero con una indole più giocosa, sono accompagnati da Mark, il fratello di Myrna, ed il suo amico Matthew. I cani, rassicurati dalla presenza dei loro umani, si tranquillizzano scodinzolando. La casa è bianca, disposta su un unico piano, è circondata da un alto muro protettivo dove c’è un primo giardino e l’accesso ad un altro cortile, con piscina, circondato da stanze, un bagno, la lavanderia e la cucina. Dalla cucina si aprono altre sale ed altre stanze più intime e riservate che finiscono in un giardino maggiormente curato. Sandy commenta subito con Mark l’incontro lungo la strada con la ragazzina boera, ridendo della mia espressione allucinata. Due donne nere lavorano in lavanderia mentre noi ci sistemiamo frastornate in un’ampia camera sul cortile adibita anche ad ufficio, infatti, oltre ad un grande letto, vi è accomodato un computer ed alcuni fogli. I cani hanno avuto sinora possibilità di entrata alla camera, c’è un “attraente” strato di polvere, c’è un odore di muffe e di sporco, ho quindi subito modo di entrare in contrasto con le mie ansie igieniche. Sandy non perde tempo, appoggia il bagaglio, indossa il costume e si tuffa in piscina. La seguo, bianca avvizzita come sono dal freddo dell’inverno, timorosa, per niente disinvolta. Mi sento in imbarazzo, mi muovo con pesantezza nell’acqua, per niente padrona del mio spazio, con un nodo allo stomaco ed il respiro corto. Mark e Matthew ci hanno salutate cordialmente ed abbiamo promesso loro l’acquisto di cibo in cambio dell’ospitalità, ma ho la sensazione che non siano proprio entusiasti della nostra apparizione. La mia catena di pensieri mi blocca, ma poi scelgo di occuparmi soprattutto del mio benessere, le relazioni di Sandy e come se le gestisce sono un affare suo. Nuoto, al fondo della piscina, con l’acqua che mi preme le orecchie.
Il viaggio
Mestieri
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