Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
LaosData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Dopo aver rinunciato alla tonaca, perché ritenuto non idoneo a diventare prete missionario, Mauro non rinuncia alla vocazione di aiutare il prossimo. Perciò studia francese e si fa inviare in una missione in Laos, dove c’è bisogno di insegnanti. È il 1970 e il paese asiatico è sfiancato da una guerra civile che dura da anni e che risente tutti gli effetti del vicino conflitto in Vietnam.
In Italia durante la guerra del Vietnam, solo di rimando si parlò del Laos; questo paese, di fatto, non era in guerra con nessuno, gli americani l’avevano utilizzato come base d’attacco contro il Vietnam e quest’ultimo l’utilizzava come via di transito per raggiungere il sud del paese. La pista Ho Chi Min iniziava a nord del Laos e lo percorreva verso sud, fino in Cambogia. Per tutte le nazioni del sud est asiatico la guerra si poteva configurare come una faccenda interna, un conflitto fratricida. In Vietnam ai Viet Kong soldati del nord, sostenuti dai sovietici, si contrapponevano i governativi del sud, appoggiati dagli Americani; in Cambogia i Kmer Rossi, protetti dalla Cina, cercavano di sopraffare le forze regolari; nel Laos il gruppo di Phatet, già rifugiato per benevola concessione del Re laotiano nelle due regioni del nord, fin dal 1945, (Phon Saly e Sam Neua), guidò il Vietnam a sconfinare. Queste lotte fratricide, secondo il colore degli occhiali che ognuno porta, si potrebbero chiamare destabilizzanti o di liberazione, ma da entrambe le parti nulla erano se non sporche guerre, cariche d’inutili devastazioni e d’atroci stragi, il conto delle quali era pagato regolarmente dall’inerme popolazione civile. Nel Laos ogni famiglia, da quella reale in giù, viveva i difficili equilibri di una politica necessariamente altalenante. A parte il Re, arbitro indiscusso e stimato da ogni laotiano, gli stessi membri della famiglia reale si schierarono da entrambe le parti. Il principe Souphanouvong, era a capo dei Phatet, mentre il fratello, il principe Souvannaphuma, reggeva il governo regolare. Al centro di Vientiane, con un blitz impensabile e inaccettabile in ogni altra guerra, un gruppo di Phatet s’era arroccato in una gran casa, proprio di fronte al mercato centrale, e lì restò fino alla fine del conflitto senza che nessuno pensasse di cacciarli. Per tutto il tempo che trascorsi al Laos non vi furono, se non sporadicamente, degli scontri frontali fra i due eserciti fratelli. Noi eravamo soliti affermare che quella era una guerra a fisarmonica; nella stagione delle piogge (o del fango), per mancanza d’appoggio o di munizioni, i Phatet si ritiravano dalle postazioni occupate nel periodo secco (o della polvere). Al ritirarsi degli uni, i governativi recuperavano terreno e cantavano vittoria. Certo i sentieri della foresta, da sempre percorsi dagli anziani abitanti, erano diventati infidi. All’ospedale militare non si contavano i giovani soldati con le gambe straziate dalle mine antiuomo.
Era una guerra che procurava fra gli uomini, pochi morti ed una miriade di storpi e alla natura distruzioni di foreste e di terreni un tempo ricchi di vegetazione. Al Laos non mancava il riso, solo che le razzie, legate a vicende belliche tanto instabili, privavano interi villaggi delle necessarie scorte, regalando stagioni difficili agl’incolpevoli abitanti. lo stavo per imbarcarmi verso un paese che, a buona ragione, si poteva considerare in guerra. Trascorsi il Natale in famiglia e salutati i parenti, partii, portando con me 400 e rotti dollari. Solo mia madre volle accompagnarmi fino a Parigi. Era il suo modo per starmi vicino fino all’ultimo. La portai a visitare la ville lumière e lei ne rimase folgorata. Passeggiai per qualche giorno con lei in lungo e in largo. La gioia di vedere Parigi non poteva nascondere il difficile momento del distacco. Quando l’accompagnai alla Gare de Lion, fino sul treno, eravamo entrambi forti del proposito di salutarci senza piangere. Solo un tristissimo sorriso si stampò sul nostro volto. Con un lungo abbraccio ci lasciammo. Quando il treno partì, io mi ritrovai di nuovo solo, mia madre sicuramente s’asciugava le lacrime in un angolo della carrozza che l’allontanava da Parigi e la riportava a raggiungere l’altra parte della famiglia, in Italia. A Parigi andai a trovare l’armatore che m’aveva fatto lavorare. M’invitò a raggiungere rapidamente Dunkerque, sulla Manica, perché attendessi là il tempo che mancava all’imbarco. Il carico della stiva richiese ancora una settimana di lavoro. I membri dell’equipaggio della Monica Wiards, così si chiamava quella nave del peso di 40.000 tonnellate, tutti tedeschi, sapendo che ero un italiano, quasi per deferenza, perché raccomandato direttamente dall’armatore, mi fecero capire che volendo, avrei potuto partecipare ad una partita al pallone che avevano organizzato. La sfida era stata lanciata ai membri di un equipaggio francese la cui nave era ormeggiata nel porto. Giocammo su di un terreno ghiacciato dove era impossibile reggersi in piedi, ma videro che ci sapevo fare.
Fu il preludio di una serie di partite cui dovetti partecipare, ogni qualvolta la nave si fermava per caricare o scaricare merci nei porti che avremmo toccato. Nel frattempo i caricatori del porto di Dunkerque, stavano completando il carico della stiva con trenta mila sacchi di fertilizzante. Faceva un freddo cane in quei primi giorni di gennaio del 70, si arrivò anche a 25 gradi sotto zero. lo, per non congelarmi, volli dare una mano. Trasportavo sulle spalle i sacchi di 50 chili e, con un colpo di reni appropriato, imparai a farli cadere proprio là dove si voleva che andassero. Qualche giorno di lavoro pesante diviso con loro mi procurò le simpatie dei caricatori che benevolmente m’adottarono. Quando finimmo di caricare la nave, io offrii loro da bere, e, fra un bicchiere e l’altro, scherzando, mi nominarono caricatore onorario del porto di Dunkerque. Ci volle ancora una mezza giornata per sistemare in coperta una decina di grossi camion da deserto e, completato il carico, finalmente salpammo.
Il viaggio
Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
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1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Mauro Ferrari
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