Due figli liberi

28 luglio

Roberto sempre a casa col piedone per aria, io e Marco in giro per la citta’: all’Immigration Office a portare i documenti per l’estensione del visto di soggiorno (che al momento e’ di sole due settimane) insieme ad una lunga lettera di petizione faticosamente elaborata ieri sera, ricorretta da David e battuta a macchina da Bassie; al porto e alle compagnie di navigazione per notizie sulle navi in partenza per le varie isole; dal negoziante cinese che ci aveva messo da parte dodici bobine di pellicola,ecc.

29 luglio, mercoledì  L’idea sarebbe di andare nell’isola di Malaita (sei ore di nave da qui alla citta’ di Auki), e la’ trovare qualcuno che ci aiuti ad incontrare la gente dell’interno, che ci dicono come ancora tra le piu’ intatte delle Salomone. Nelle chiaccherate serali; una fumata dopo l’altra col tabacco dentro un pezzetto di carta di giornale arrotolata, David da consigli e spiegazioni e Marco e Roberto scrivono appunti, il progetto prende forma, si pensa gia’ ai preparativi, ai programmi. Ma stamattina, alla medicazione all’ospedale, il dottore fredda molte speranze; l’infezione sulla parte esterna della ferita non regredisce, venerdi vuole fare una scarnificazione in anestesia totale, poi bisognera’ attendere lunedi per la prima medicazione poi si vedra’. Nel pomeriggio con Marco cerchiamo una macchina in affitto, per spezzare in qualche modo la settimana di ulteriore attesa che come minimo abbiamo ancora davanti, e per fare uscire un po’ Roby dopo quasi venti giorni di immobilita’. La sera cambia tutto: e’ tornato l’inquilino precedente; per una storia che sembra alquanto complicata bisogna restituire l’appartamento al padrone, che pare sia il governo, David e’ incredibilmente preoccupato, insomma domani tocca sloggiare e separarci dai nostri amici.

31 luglio, venerdi

Dopo una notte di battaglie contro moscerini e pappataci, accampati su dei materassini per terra nel salotto buono del Reverendo Nonsocomesichiama – pastore della United Church of PNG & Meleizesia dove ieri dopo una giornata di attese e di ricerche abbiamo finalmente trovato alloggio, eccomi di nuovo all’ospedale, in attesa che Roberto esca dall’intervento e si risvegli. Cerco di riordinare tutti i discorsi di fondo fatti in questi giorni coi ragazzi. Sono felici e contenti, entusiasti delle mille avventure che hanno vissuto hanno avuto un anno di vita talvolta cittadina talvolta da nomadi, conosciuto un mucchio di gente strana, visitato isole sperdute, si sono mescolati agli indigeni, visto con loro albe tropicali e tramonti nella foresta. Hanno buttato via abiti e scarpe occidentali e attraversato coscientemente quel grande fiume al di la del quale, poggiati i loro zaini sull’erba, hanno colato a picco la canoa che avrebbe potuto riportarli indietro.

I loro progetti sono per ora di continuare ad attraversare il Pacifico, senza limiti di spazio e di tempo, in estrema liberta’ e spensieratezza, finche’ il libretto in banca è ancora consistente. Quando i soldi cominceranno ad assottigliarsi, troveranno un lavoro qualsiasi in Australia tanto per rimpinguare la cassa e riprendere il viaggio appena possibile. Anche il discorso iniziale del film sembra alquanto ridimensionato. Alla domanda: “Perché’?” rispondono che una volta rifiutati i nostri schemi di vita – casa lavoro famiglia professione – questa – per loro e’ la maniera migliore per riempire l’esistenza, e che anzi si sentono dei fortunati nel constatare come riescano a realizzarla questa loro maniera. Alla domanda: “Rimarrete sempre qui?” rispondono di no, perche’ non vogliono diventare due papua e due isolani – sanno comunque che non potrebbero riuscirci mai.