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PerùPeriodo storico
Periodo pre-unitario (fino al 1876)Luigi Ghilardi non è un personaggio molto conosciuto, ma a suo tempo fece parlare di sé nei due mondi anche per la sua fucilazione avvenuta in Messico da parte dei francesi nel 1864 durante l'avventura che portò Massimiliano d'Asburgo a divenire, per poco, imperatore di quella contrada. In questa lettera, di qualche anno prima, inviata Lima, all’epoca Ministro per gli Affari Ecclesiastici nel Governo della Toscana fino alla proclamazione del Regno d'Italia, che aveva conosciuto pochi anni prima, per rivolgergli un appello affinché lo aiutasse a uscire di prigione, dove era finito in Perù.
Lima, li 12 febbraio 1860
Stimatissimo Signor Avvocato Vincenzo Salvagnoli Non so se Ella conserverà tuttavia nella memoria il mio nome, giacché dopo che partii da cotesta città col terzo Battaglione volontari, 1848, non ebbi più il bene di rivederla. Col detto Battaglione, al ritorno di Lombardia, s’inaugurò il famoso Ministero democratico in Livorno, lasciandomi io sedurre per la mia buona fede da certi uomini che dopo ho potuto conoscere bene. Da quel fatto abbandonai la Toscana passando in Sicilia, ove col grado di colonnello occupai varii posti importanti sino alla caduta dopo la battaglia di Novara. Alle poche settimane passava per Livorno diretto a Civita Vecchia, ed essendo stato riconosciuto da una mano di popolo, fui forzato a sbarcare ed assumere il comando delle armi contro il Barone D’Aspre; poi le forze dei livornesi erano immaginarie e la città era stata intieramente abbandonata dalle autorità e dalla maggior parte dei cittadini, di maniera che dopo tre giorni d’inutile ed incompetente difesa, terminò di sventolare la bandiera nazionale. A Roma, dove fui poi, commandai la linea destra di San Pancrazio con la mettà della divisione del Generale Garibaldi. Entrativi i francesi, dovetti di nuovo emigrare, e così dopo molti trambusti passai nel nuovo Continente, Messico. In quella Repubblica presi servizio ottenendo nel campo di battaglia il grado di generale di Brigata; ma, allorché più mi sorrideva la fortuna, caddi ferito gravemente nell’assedio di una città chiamata Puebla. Ed ecco che per guarirmi intieramente fu d’uopo andare in Europa. Pendente la mia assenza dal Messico, il governo di Comonfort, che da me era stato appoggiato e, parlando con schiettezza, io lo aveva messo al potere, cadde, dietro le continue rivoluzioni che là si succedono; e nel mentre che io mi dirigeva di nuovo in quella Repubblica, ebbi la noti-zia di questa caduta. Risolsi nell’atto di passare altrove non volendo immischiarmi più nella politica. Venuto dunque accompagnato dalla mia famiglia nel Perù, con alcuni mezzi mi occupai nel commercio ottenendo tutto il credito e la confidenza delle prime case commerciali. Inoltre mi relazionai subito con le principali famiglie del paese, e mi avvidi presto dello stato di questa società ove non esiste una garanzia sociale e non si commettono che atti barbari ed arbitrarii, dovuto tutto alla cattivissima amministrazione del governo di Castilla. Ho creduto necessario fornirle i dettagli antecedenti onde Ella non si sorprenda di ciò che vado a descrivere. Andando il tempo (ora compiono due anni) che mi trovo in questo paese, ed essendo da molti conosciuti i miei antecedenti e carriera militare, mi cercavano, mi pregavano ed infine mi sono compromesso ad entrare in un movimento politico a favore del Generale Echenique, legittimo Presidente del Perù. Ciò che sopra ogni altra ragione m’indusse a questa determinazione fu l’indescrivibile stato d’immoralità e di tirannia a cui è soggetto questo bel paese, colpa sicura del governo: ritornando Echenique, il quale offre ogni garanzia, si rimedierebbero tanti mali. Due movimenti dovevano operarsi in pari tempo. Uno diretto da me nel Notte della Repubblica, nella città di Cajamarca, l’altro nel Sud sotto la direzione del Generale Don Jeremia Castilla. Ma, oh fatalità! tutti e due fracassarono. La base del mio piano consisteva nell’arresto del Prefetto del Departimento di Cajamarca, Generale Varea; ma ossia per incidente o per tradimento i commissionali di operare quest’atto me lo ferirono, anzi morì da quella ferita, trasformando così tutto il mio piano: in una parola mi rovinarono. Non vorrei dirlo, ma pure è così: gl’incaricati di questa missione delicata erano precisamente italiani ed uno di essi massimamente, il Dottore Benedetto Lusconi, il quale ho potuto conoscere dopo, mi dette un colpo tremendo con causare la morte del Prefetto. Subito fui arrestato con ventidue compatriotti che ingaggiai nell’iniziativa del movimento, ma tutti i peruviani si salvarono fuggendo. Allora il governo, per non confessare la sua impopolarità, dette subito a questa faccenda un colore non politico, chiamandoci a noi assassini stranieri, avventurieri etc. etc. La sola circostanza d’essere stranieri in questo paese è sufficiente per meritare l’odio e le più terribili calunnie dai peruviani. Se io non fossi stato straniero, a quest’ora già mi passeggerei per le strade liberamente, poiché ogni giorno succedono qui dei movimenti rivoluzionari e non hanno mai i capi di essi nessuna conseguenza funesta. Ma vuol sapere cosa mi hanno fatto a me? In primo luogo m’incatenarono e mi hanno fatto soffrire dei martirii degni del tempo del Santo Uffizio. In seguito mi saccheggiarono tutti i miei stabilimenti di commercio (che erano cinque), fino i vestiti della mia famiglia. Il valore approssimativo della perdita sarà un quaranta mila scudi, dei quali più di due terzi appartenevano a diversi commercianti — che barbarità per il paese in cui mi trovo, dove le rivoluzioni sono all’ordine del giorno senza che succeda mai un caso come il mio! Eccole in due parole, pregiatissimo avvocato, la ragione per cui non mi sono presentato al primo grido di redenzione italiana; il mio sogno di tutta la vita me lo vedo ora effettuare, ma non potere io col mio sangue, con tutte le mie forze contribuire nella Santa lotta! Questo mi strazia il cuore, mi fa morire. Sono qui in catene, senza meritarle, per l’ingiustizia e la perversità di certi uomini. Nel Messico mi chiamano come loro unico mezzo di salvazione; là ha quanto desidero, quanto potrei chiedere. La voce potente poi della mia Patria mi chiama a pagare quel dovere che m’imposi da che seppi pensare. Quanto siamo insignificanti noi uomini, che non possiamo prevedere né immaginare i successi che sono per effettuarsi! Non si sa positivamente il risultato del mio giudizio, ma di sicuro faranno tutto il peggio possibile: basta che io sia straniero. Osserverà, Signor Salvagnoli, che erano più di trecento i compromessi in questo movimento e tutti li ho salvati fuorché cinque italiani, i quali ancora ho speranza di metterli in salvo. Non avendo io pronunziato neppure un nome dei miei complici, il governatore dispera perché vorrebbe sterminare i suoi nemici, cosa difficile perché ne ha innumerevoli, e mi fa soffrire tutte le torture. Essendo corta il tempo, e per altra parte non volendo obbligarla con descrizione sì trista, terminerò il mio scritto pregandola a volere scusarmi presso gli amici ed in faccia al nostro popolo per la mia involontaria assenza in quest’occasione di vera fatalità per me. Quando poi Ella desideri altri dettagli sulla mia persona, potrà ottenerli dall’illustrm. avvocato sig. Carlo Massei4 del mio paese Lucca. Sarò oltre modo gradito alla sua gentilezza se vorrà accusarmi ricevuta della presente e darmi qualche notizia della nostra bella Italia. Se si potesse conseguire che cotesto governo pensasse a richiamarmi amichevolmente a questo di Castilla, mi salverei da sì tremenda situazione. Lei farà ciò che crede utile in questo senso. Mia moglie e figlia le porgono i loro distinti saluti e riceverà la stima e considerazione del suo devotissimo ed af.mo servo ed amico
Luigi Ghilardi
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