Una gamba amputata

Non ci dispiace lasciare Byumba, la sensazione di attesa era diventata insopportabile. Il viaggio è molto lungo, anche se il Rwanda è un piccolissimo. C’è ancora la guerra a Kigali e a ovest, il Paese è diviso in due, per cui dobbiamo contornare la capitale per portarci a sud. È un attraversamento cupo, le strade sono pessime, i villaggi sono rovine di case incendiate e distrutte, ci si chiede come solo la forza umana riesca a fare tanti danni, ma forse sono stati usati trattori e scavatrici. Contrariamente a quanto ci è stato detto, non si vedono cadaveri, ma cumuli di terra (sono le fosse comuni) e mucchi di vestiti2. E invece vedo veramente quello che mi aveva raccontato il medico alto ufficiale dell’FPR (Fronte Patriotico Rwandese, ndr): le sacche da infusione vuote di ringer e sostituto del plasma attaccate ai rami bassi degli alberi o ai cespugli, somministrate a soldati feriti in attesa di un trasporto. Il mito dell’FPRè che abbiano un servizio sanitario in grado di fare trasfusioni ed interventi chirurgici con grande tempestività ed ovunque, il che rende i soldati quasi invincibili.

L’inquietudine del viaggio è soprattutto legata al costante avvertire la presenza di una violenza che non si manifesta, attraverso un paesaggio desolato, che i nostri occhi scrutano alla ricerca di qualche traccia o memoria più leggibile. A un certo punto vediamo uno scarpone, sembra militare, abbandonato in mezzo alla strada con un bastone, o una tibia, che spunta, come se si trattasse di un gamba amputata, e forse lo è. L’autista la contorna, e solo la sera ci chiediamo apertamente cos’è.

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