Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Yemen, Libia, Eritrea, SomaliaData di partenza
1908Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)Temi
guerraTemi
guerraL’eco dello scoppio della Prima guerra mondiale arriva fino in Libia, dove Eugenia si è da poco trasferita a vivere con il marito, ennesima tappa di un incessante peregrinare in coppia attraverso le colonie italiane della prima metà del Novecento
Eravamo a Tripoli, appena giunti dall’Italia il 28 giugno, quando nel mondo si sparse come un fulmine la notizia dell’assassinio del Granduca Fr. Ferdinando d’Asburgo, il fiero nemico dell’Italia, colui che vagheggiava il sogno di mettere ancora sotto il dominio dell’aquila a due teste, il Lombardo Veneto; così lontano egli era dalla realtà della storia e della vita!
La notizia e le sue conseguenze, che si potevano temere gravi di avvenimenti imprevisti, ci commossero fortemente ed un palpito di speranza per la nostra Patria ci fece tremare il cuore: esso ci riportava agli ideali che avevano fatto vibrare i cuori dei nostri vecchi ma che sembravano però così lontani e difficili a realizzarsi! Giunsi a Jeffren il giorno in cui si inaugurava il nuovo acquedotto: l’acqua è benefica dovunque; ma nei paesi bruciati dal sole, essa lo è in grado maggiore ed io ebbi la sorte di essere accolta nel paese che dovevo abitare, come un porta – fortuna. Certo si è che fin dal principio sentii di essere circondata da una grande simpatia presso gl’indigeni, quasi tutti berberi, brava gente, dignitosa nel contegno e di grande ed alta onestà. Il nucleo di ufficiali e di coloniali era simpatico ed anch’esso accolse con vivo piacere la mia presenza, perché una donna significava allora, una casa, una famiglia, un centro intorno al quale si poteva raccogliersi. Ero l’unica e la prima bianca che abitava Jeffren, come lo ero stata a Mahaddei dove i curiosi venivano di lontano per vedere “la donna bianca”. A Tripoli, quando – raramente, per fortuna – dovevo recarmi per necessità di provvedere a tante cose che mancavano a Jeffren, ero salutata come un fenomeno: la signora Pàntano di Jeffren! Che era l’unica bianca abitante nel Gebel, che non aveva perciò modo di fare e di ricevere visite, di offrire un thè alle amiche, era veramente da guardarsi come una bestia rata! Io ridevo e scherzando mi vantavo di essere la più giovane, la più simpatica, la più bella, la più elegante signora di Jeffren ed era vero perché ero io sola!
E ritornavo su con le mie provviste, così contenta di non dover né fare né ricevere visite, così felice di esser fuori da quegli ambienti pieni di invidie e di pettegolezzi! Gli ufficiali si raccoglievano la sera in casa nostra e c’era sempre buon umore e fra canti e suoni si passavano delle buone ore: e non si diceva male del prossimo! Qualche volta, è vero, i superiori erano criticati nelle loro debolezze; ma dai critici si diceva non esser quella maldicenza, bensì ricerca della verità! La vita a Jeffren non mi offriva certo molti svaghi: su quel terreno roccioso, raramente si poteva permettersi qualche cavalcata, anzi era cosa molto rara ed anche ne era limitata la gioia: quella gioia che avevo goduto nell’ampio orizzonte della Somalia, sulle verdi sue pianure. Qualche volta, con un autocarro sono giunta – quando mio marito aveva interesse di farlo – fino all’oasi fresca e verde di Rumia che, nel nome, riporta ai tempi in cui Roma dominava quelle terre e di cui appaiono ad ogni passo le vestigia: monumenti sepolcrali, rovine di fattorie fortificate, iscrizioni, documenti di gloria e di saggezza romana, documenti, per noi, di antica nobiltà. Gli ufficiali che avevano capito la mia passione per questi resti della dominazione romana, mi portavano quasi sempre dalle loro escursioni, qualche reliquia che attestava la grandezza di Roma; ed io avevo fatto in un angolo della gran sala un piccolo e molto interessante museo di cui ero fiera. Qualche gita a monumenti interessanti, lontani si è fatta, ad onta delle sempre maggiori difficoltà di comunicazione: ed era una grande e pura gioia per me, questa di ritrovarmi alla presenza delle testimonianze di tanta grandezza! Avevo poi sempre il mio bel da fare, perché sebbene avessi portato con me dall’Italia, una cameriera, non ne avevo nessuna menomazione di responsabilità sull’andamento della nostra casa, anzi una responsabilità maggiore per la custodia di tanto tesoro! Non avrei mai pensato che un essere così poco attraente ad onta del suo storico nome – si chiamava Beatrice Cenci – dovesse esser fatta segno ad un assedio di quella fatta!
Perfino il Caimacan se ne era innamorato ed avrebbe voluto offrirle di far parte del suo harem se non avesse temuto – mi diceva il Residente che ne riceveva le confidenze – di far torto al Commissario, perché egli riteneva la Beatrice una moglie in soprannumero. Quando mio marito lo seppe protestò altamente ed allora il Caimacan si fece avanti con la sua proposta ch’io avrei creduta sdegnosamente rifiutata: ma non fu così. La bella tenne in forse il maturo aspirante, bilanciando i pro ed i contro; finché, un bel giorno, molto poco contenti del suo servizio e seccati di tante noie che ci venivano dalla sua presenza, ci siamo disfatti di lei, rimandandola a Livorno: e fu un gran sollievo per me che non avevo avuto nessun aiuto e molte seccature dalla sua presenza in casa nostra.
Il viaggio
Mestieri
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laureaPaesi di emigrazione
Yemen, Libia, Eritrea, SomaliaData di partenza
1908Periodo storico
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