Mestieri
geologoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1944Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Un lungo percorso di fuga, da Padova attraverso Milano e il Lago di Como, conduce Arvedo Decima e alcuni compagni di viaggio fino alla frontiera con la Svizzera e oltre, lontano dall’Italia fascista repubblichina del 1944 che lo voleva arruolare alla propria causa. Questo è il racconto della sua fuga dalla guerra, in clandestinità.
Quando parto tutti piangono; la mamma si affaccia alla finestra per vedermi qualche minuto di più, ma io non ho nemmeno la forza di voltarmi indietro a guardare. Tutto mi sembra pii bello oggi che parto; tutte le cose anche piccole mi attirano, mi fanno soffrire. Io cammino silenzioso verso l’esilio. Prima della curva mi volto ancora per guardare la mia casa che forse non vedrò più: ancora mio padre che guarda dalla porta; mia madre non c’è più, forse s’è nascosta a piangere.
Domenica 27 febbraio 1944 Ci alziamo per tempo ed andiamo tutti a messa a S. Prosdocimo; facciamo la Comunione. Alla fine Pierina va a prendere il denaro. Anche Baglioni. Ritorniamo a casa, facciamo colazione in pochi minuti e salutiamo tutti. La sig.ra Boschi mi dà una lettera per Gianni e due biglietti per due marinai dell’Italia meridionale. Il sig. Bioschi ci porta le valige alla stazione. Io e Baglioni stiamo separati dagli altri. Alle 8,05 arriva il treno per Milano e noi saliamo in una carrozza di coda. Franca, Pierina, gli inglesi e gli altri accompagnatori salgono più avanti. Alle 8,20 circa partiamo. Comincia a piovere. Baglioni si mette a leggere “La secchia rapita”. Io non sono capace nemmeno di leggere il giornale. Viene Franca per chiederci se vogliamo mangiare, ma nessuno dei due ne ha voglia. Arriviamo a Milano alle 15 circa. Vediamo lungo la strada da Verona a Milano gli scheletri delle case distrutte. A Milano piove. Ci fermiamo sotto la tettoia ad aspettare gli altri. Armando ci consiglia di salire subito sul treno per Monza perché pericoloso farci vedere in giro. Nella stazione c’è un treno di soldati che sta per partire. Mangiamo qualche cosa poi saliamo sul treno. Un fascista chiede a Franca e Pierina dove vanno, esse prendono paura e credono di essere scoperte, ma non c’è nulla. Il treno parte alle 17,10. Facciamo il biglietto poco prima di partire. In breve siamo a Monza. La mia agitazione cresce. Entriamo nel bar della stazione ad attendere il treno per Molteno. Armando ci spiega l’itinerario e ci avverte che e opportuno farci passare per prigionieri inglesi almeno fino a Chiasso. Alle 18,30 salutiamo Franca, Pierina e Armando che ritornano a Milano e noi partiamo per Molteno accompagnati da due giovani di Padova e da una signorina. Il treno è quasi vuoto. A una fermata sale un gruppo di giovani che cantano canzoni di montagna. Io sono in un angolo e nell’oscurità ascolto con infinita nostalgia. Alle 20 circa scendiamo a Molteno. Troviamo subito tre guide che ci accompagnano fuori dal paese. Ci esortano subito ad abbandonare le valige, ma noi teniamo duro. Questa notte si dovrebbe arrivare sul lago di Como, attraversarlo e poi andare a passare tutta la giornata di domani in una casa, per attraversare la sera il confine. Ci fermiamo in una piccola strada dove ci distribuiscono della carne e del pane. La signorina e i due giovani italiani ci salutano e se ne vanno. Noi con due guide (un anziano e il figlio) cominciamo a camminare nella notte: perdo completamente l’orientamento. A un certo punto vedo un lago, credo che sia quello di Como, ma invece deve essere un altro. Camminiamo sempre continuamente nel fango, nell’acqua. Attraversiamo reticolati. Ci nascondiamo perché passa della gente, attraversiamo paesi dove la gente si affaccia alle porte per vederci passare. Siamo in 13 con le due guide. A un certo punto passiamo sotto un ponte di ferro con molta attenzione. Dopo qualche ora ci dissetiamo a una fontana. Rimaniamo un po’ staccati dagli altri, ma in breve li raggiungiamo. Comincia a piovere. Io sono già stanco e per di più si comincia a salire sempre. Due inglesi stanno male. Prego Kennedy di portarmi la valigia. Finalmente ci fermiamo in una casa isolata. Il padrone dorme. E’ già mezzanotte. Ci vediamo in faccia per la prima volta tutti. Beviamo molta acqua poi il capo decide di fermarsi perché il tempo è brutto per continuare. Dormiamo sulle foglie nella stalla.
Lunedl- 28 febbraio 1944 Alle 5,30 sveglia. Il tempo brutto. Decidiamo di alleggerire le valige. Io regalo al figlio della guida un paio di pantaloni e ad un inglese il mio paio di scarpe di camoscio. Partiamo alle 6 circa senza mangiare quasi nulla. Cominciamo a salire subito, in breve arriviamo alla neve. Dobbiamo fare una strada più lunga perché sulla montagna caduto un apparecchio tedesco e c’ la milizia che fa la guardia. Attraversiamo un bellissimo bosco di abeti. Diamo un po’ di grappa a un inglese che si sente male. Continuiamo in salita e discesa per parecchio tempo. Ci fermiamo alcuni minuti in una baita, poi proseguiamo. Oggi mi sento meglio perché mi sono messa la valigia a tracolla con la cintura del soprabito. Poi comincia a nevicare. In breve siamo tutti bagnati. La guida non è più sicura della strada, dobbiamo aiutare i due inglesi che stentano molto. Saliamo per un ripidissimo canalone pieno di neve. Troviamo baite ed un’osteria. Poi sulla strada la mia valigia si rompe e sono costretto ad abbandonarla dopo aver recuperato le cose più, importanti. La neve continua a cadere fittissima. Attraversiamo bellissimi campi di neve e in breve siamo in cresta con la tormenta ed un vento fortissimo. Scendiamo a valanga per il fianco ripidissimo. In meno di un’ora siamo giù sulla strada e ci fermiamo in una baita. La guida va a cercare il padrone per chiedergli se ci ospita a casa sua. E’ mezzogiorno, ci stendiamo sulle foglie e mangiamo qualche cosa. Poco dopo arriva la guida e ci conduce in un’altra baita più alta. Lì ci fermiamo fino alle 17 circa. Il figlio della guida mi ruba il salame che avevo lasciato sulle foglie. In una baita più in basso ci dissetiamo abbondantemente. Scendiamo in un paese e ci fermiamo in una casa per alcuni minuti. All’imbrunire, sotto la pioggia, prendiamo la via del lago. Attraversiamo un altro paese (Torno?), seguiamo per un po’ la strada lungo il lago e scendiamo in uno stanzone sotto la strada sulla_riva del lago. Siamo completamente bagnati e lo stanzone umido. Ci sediamo per terra silenziosi mentre il vento scuote le acque del lago. Poco dopo ci chiamano; saliamo su due barche e lasciamo la riva, ma giunti quasi a metà il vento è tanto forte che ci costringe a ritornare. Presso la riva scorgiamo delle ombre nere che si muovono. Scendiamo, sono tutti italiani che cercano di rifugiarsi in Svizzera per sfuggire al richiamo. Ci riconducono nello stanzone sotto la strada. Poco dopo giungono anche gli italiani. Cominciano ad interrogare Baglioni che finge di essere inglese e continua a spararle grosse per tutta la notte. Il freddo cresce sempre e non si riesce a dormire. Finalmente verso le 4 si parte.
Martedì, 29 febbraio 1944 Alle 4 con Baglioni e i nove inglesi saliamo sulle barche e attraversiamo il lago. Il vento e cessato, non piove più. Tanto a Baglioni che a me viene in mente l'”addio monti sorgenti dall’acque”. La riva opposta si avvicina sempre più: si vede un’automobile che passa sulla strada lungo il lago. All’ombra dei monti ci avviciniamo alla riva e sbarchiamo silenziosi. Il barcaiolo ci stringe commosso la mano in un augurio muto. Saliamo per una stradicciola incassata tra le case, attraversiamo la strada provinciale e poi attendiamo alcuni minuti in una specie di sottopassaggio. Dopo poco riprendiamo il cammino con due guide per la ripida mulattiera lastricata. Alcuni rimangono indietro e dobbiamo attenderli. Saliamo lentamente per non affaticare i due inglesi che si sentono male. Verso le 6 arriviamo all’ultimo paese prima del confine. Ci sistemiamo in una stanza dove c’è un letto e della legna. Le guide ci lasciano liberi per tutto il giorno. Accendiamo un bel fuoco, il primo dopo tanto tempo, e cerchiamo di asciugare la nostra roba. I due inglesi indisposti si mettono a letto. Più tardi arriva il padrone e gli facciamo portare parecchi fiaschi di vino (a 60 lire l’uno) che in breve prosciughiamo. Verso le 10 appare il sole e sí vede, bellissimo, il lago di Como con tutte le montagne coperte di neve. Astorre trova una carta della Svizzera e se ne impadronisce. Verso mezzogiorno mangiamo qualche cosa per non rompere l’abitudine, perché l’appetito non m’ ancora tornato. Attendo il mio turno ed asciugo la mia roba. Più tardi cerco di dormire un po’ ma mi sveglio con un forte brivido. Mi metto a letto con Kennedy, ma mi sembra di avere la febbre, ciò nonostante riesco a dormire un po’. Alle 17 arrivano le guide e ci prepariamo a partire. Partiamo alle 17,30 sempre per la ripida mulattiera lastricata. Il mio cuore non va bene. Comincia a nevicare. Si vede in alto sulla cresta la caserma delle guardie di finanza, ma in breve scompare avvolta nella nebbia. Più su allarme perché abbiamo scorto un gruppo di uomini che scendono. Sono italiani respinti dalla Svizzera. Io e Astorre ci preoccupiamo, ma speriamo sempre in Dio. Giriamo al largo la caserma e con la neve molto alta cominciamo a scendere dall’altro versante. Si vedono dei lumi lontani: la Terra Promessa, la Svizzera. Passiamo delle casere e poi le guide ci abbandonano dandoci le ultime raccomandazioni. Consegnamo loro una cartolina per la mia famiglia che assicura che tutto è andato bene. Continuiamo a seguire a mezza costa il sentiero battuto e dopo mezz’ora circa scorgiamo la rete di confine. In questo punto fa un angolo di 90°, al vertice c’è una garritta. Seguiamo un po’ la rete verso destra ma non c’è modo di passarla. Torniamo indietro e scendiamo ancora per il sentiero. Io sono preoccupato perché una notte molto chiara di luna e temo di essere sorpreso. Non troviamo vie d’uscita. Smith si decide a scalare la rete ed in breve, di poi la risale e scopre un buco per il quale in breve passiamo tutti. Sono le 20,50. Gli inglesi sono felici, ormai le loro tribolazioni sono finite, noi invece siamo sempre più preoccupati che ci rimandino indietro. Ci allontaniamo una cinquantina di metri dalla rete e ci fermiamo un po’ a riposare e fumare. Cominciamo la discesa per il fianco ripidissimo della valle. A un certo punto Baglioni lascia andare la valigia per non avere la seccatura di portarsela dietro. La vediamo volare in basso, sembra che non si fermi più, ma finalmente un arbusto l’arresta. Scendiamo per recuperarla e lungo la strada troviamo varie cose che ne erano uscite, perché si era aperta. In totale Astorre perde mezzo libro ed altri oggetti non identificati. Verso le 22 raggiungiamo un sentiero orizzontale. Dall’altra parte della valle profondissima si vede un’altra strada e in lontananza le luci di un paese. Mentre attendiamo gli altri io e Kennedy diamo fondo alla mia riserva di grappa. Prima di proseguire, su proposta di Kennedy, innalziamo al Cielo la nostra preghiera di ringraziamento. Nel silenzio della notte recitiamo il Padre nostro. In breve attraversiamo un ponte e siamo sulla strada carrozzabile.
Il viaggio
Mestieri
geologoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1944Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Arvedo Decima
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