Mestieri
registaLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
Cina, Malesia, NicaraguaData di partenza
1978Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)I paesaggi esotici della Malacca, in Malesia, entrano nei racconti di viaggio e di lavoro di Daniele Cini, regista che ha girato il mondo per filmare, raccontare, documentare.
Malacca 14.1.1988 Abbiamo mantenuto la promessa e in una comoda alba ci presentiamo al villaggio del capovillaggio. Il vecchio è già lì che ci attende, con l’aria distratta e nonchalant dell’attore consumato. Ci porta in un piccolo presepe dorato dal sole, con un bufalo di scena e le stupende casette di Hansel e Gretel, e comincia a raccontare come un nonno la storia del paesello di cui è padre, sacerdote, vigile, consigliere e sceriffo. KAMPUNG PAYA RUMPUT significa villaggio della palude d’erba, poiché la leggenda (qui tutto è leggenda, anche la grammatica) dice che in uno stagno nacque un albero e si coprì d’erba, così sorse il villaggio attorno allo stagno, sperando di cavarne fuori riso; ma poi si convertirono alla gomma ed importarono qualche indiano. Poi arrivò una grande multinazionale, cacciò gli indiani e levò il bosco di gomma ai poveri abitanti di Paya Rumput, che oggi sono ridotti a dividersi quattro acri di ortaggi in una piana proprio qui sotto al presepe. Ecco la storia. Giancarlo fa la sua performance un po’ misogina sulla poligamia e poi vaghiamo in giro per campi in cerca di bufali, i nostri anfitrioni li vedo un po’ perplessi. Oggi è una giornata di autorità cittadine. Il notabile è un ruffiano, vanta amicizie potenti, ci suggerisce “di andare a scopare in Thailandia che lì le donne la danno facile e a poco prezzo” poi ci sbatte in faccia il capo della polizia che ci degna di un appuntamento nel suo ufficio, alla fine del pasto. Secondo round con i papabili malacchi. Il commissario Basettoni – ha in realtà più la faccia del perfido Macchianera – ha convocato tutti i vice-capo poliziotti della contea, panzoni e leccaculetti che si dispongono attorno a noi come per decidere la battaglia di Balaklava, forniti di taccuini e penna per solerti appunti. Noi un po’ deludiamo: vogliamo solo una motoretta per un camera-car e qualche vigile per il traffico. Comunque parla solo Basettoni sbattendo con arroganza l’anello sul bracciale della poltrona di legno (di malacca, ovviamente) e facendo lo spiritoso sull’arma della polizia. Sorrisi di compiacenza, poi la cerimonia della firma: come Reagan e Gorbaciov anch’io, Giancarlo e Maurizio veniamo forniti di una penna ad inchiostro e copriamo con un pomposo geroglifico il libro d’oro delle celebrità malachine. Involontariamente (o per qualche oscura mossa polemica col turismo) il commissario capo ci suggerisce un viaggio in barca per la vera Malacca, che metterà molto di cattivo umore il nostro Ramzi e farà contenti noi. Ci introduce negli inferi un Caronte esagitato e cosmopolita, il barcaiolo Bernard Hàfing, che è un malese scuro scuro, col nonno olandese e la famiglia portoghese, di quella comunità di sopravvissuti che da trecento anni continuano a parlare lusitano e travestirsi come se non fosse cambiato nulla. Bernardo un po’ in inglese e un po’ in portoghese ci illustra passo passo i budelli di questo putrido canale che dal mare risale la rotta dei pescatori. Comincia dai velieri dei marinai di Sumatra, che sfidano tifoni conradiani ancora oggi senza motore. Arrampicati agli alberi, sul boma, sbucando sotto coperta, ecco una ciurma di carbonai indonesiani che si esibiscono saltellando al nostro passaggio noncuranti del loro aspetto da spazzacamini. Poi mentre Bernardo inizia a raccontare leggende, e il mare si riempie di isolotti animati, la barca si infila nel budello che attraversa i quartieri poveri dei pescatori. ‘ Dappertutto immondizia galleggiante mentre i corvi volteggiano affamati e ai bordi del canale, escono dalle fognature delle enormi, abominevoli iguane. Tra le baracche, i cantieri navali, i magazzini di spezie e granaglie, cominciano ad addensarsi le barche viola di turisti pescatori sotto un cielo pumbleo di calore e l’acqua putrescente si vivacizza con le svettanti pinne dei leggiadri PESCI-PISCIO. Così muore Malacca, nella merda, mentre restano in piedi miracolanti resti delle vecchie tracce coloniali per la gioia dei turisti, e una strada che colleziona i templi di questo miscuglio etnico e che porta l’improbabile nome di Harmony street. Ramzi è disfatto: non c’era immagine più dissacrante per il suo ufficio turismo di questa regalataci dal capo poliziotto. Per farlo contento, fingiamo tre inquadrature del nostro super Hotel guadagnandoci un tuffo in piscina e una cena “steamboat” offerta dalla direzione dell’albergo. Potere della televisione! Domani sveglia all’alba per completare il quadretto di questa città decaduta. Sono stanchino; non so più cosa sarà questo documentario; mi sento alla deriva degli umori di Giancarlo. Ogni mia idea viene lasciata cadere, però il viaggio si fa sempre più intrigante.
Il viaggio
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