Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
UngheriaPeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Il 15 ottobre 1944 l’ammiraglio Horty, guida dell’Ungheria da oltre 20 anni, viene deposto dai nazisti in seguito a un suo tentativo di pace separata con l’Unione sovietica, in procinto di invadere il Paese. Per Fiorenza e i suoi cari la situazione si fa sempre più disperata.
Il 15 ottobre il Reggente d’Ungheria, cioè il capo dello stato – l’Ammiraglio Horthy – decise di chiedere l’armistizio, e staccarsi così dai tedeschi. Fu una decisione coraggiosa perchè la mattina stessa i tedeschi gli avevano rapito il figlio per impedire che lo facesse. L’annuncio dell’armistizio fu letto alla radio dallo stesso Horthy alle 13 e a Csàkànydroszlo ci fu un po’ di confusione. I gendarmi non sapevano più se eravamo ancora nemici. Andarono al comando a Ivànc per sapere come comportarsi nei nostri confronti. Mio fratello e io approfittammo di questo fatto per tentare di nuovo la fuga. Questa volta ci riuscì. Prendemmo il primo treno in direzione di Budapest. Ad un certo momento però ci fecero scendere, dicendoci che la linea ferroviaria era stata bombardata ed era interrotta. Prima seguimmo le rotaie, ma presto arrivarono degli aerei sovietici che abbassandosi ci mitragliavano, oltre che bombardare la linea ferroviaria. Ci buttammo nei fossati e poi per evitare di essere mitragliati decidemmo di inoltrarci nelle strade di campagna per continuare il cammino e tentare di trovare un treno per riprendere il viaggio. Ad un certo momento arrivarono i tedeschi, quelli con la targhetta metallica sul petto tenuta da una catena. Io non so perchè li avevo soprannominati i “bulldog” e cominciarono a chiedere i documenti. Io non avevo nessun documento, perchè al momento dell’internamento ce li avevano ritirati. Mio fratello oltre il passaporto valido aveva un passaporto scaduto che proprio per questo non aveva consegnato. C’era una vecchia donna che guidava a piedi dei buoi che tiravano un carro, mio fratello, non so cosa le disse, ma a me ordinò di darle la mano. E così feci. I tedeschi ci passarono accanto e pensando che la contadina fosse del posto non le chiesero niente.
Scendemmo alla stazione di Kelenftild, che era fuori Budapest per evitare controlli. E cominciammo a camminare nella notte. Erano le 11 di sera, ma noi non sapevamo che c’era il coprifuoco e per questa ragione non c’erano i mezzi pubblici. Nè eravamo a conoscenza che Horthy era stato fatto prigioniero e alle 21:30 era stato revocato l’armistizio. Aveva preso il potere Szàlasi, il capo del partito delle croci freccciate “Nyilas”, che era il corrispondente ungherese del partito Nazista tedesco. Quando ormai eravamo arrivati in centro città, dei poliziotti ungheresi ci fermarono chiedendo che cosa facessimo a quell’ora per strada. Mio fratello Italo disse che andavamo da parenti e che eravamo italiani. Fece vedere il passaporto italiano scaduto ma chiesero pure i miei documenti. Rispose che ero sua sorella, ma essendo una bambina non avevo documenti. Non gli credettéro, e dissero che quel giorno e quella notte tutti gli ebrei scappavano dalle case con le stelle gialle dove erano stati rinchiusi approfittando della confusione. Insomma volevano lasciare andare via mio fratello e trattenere me, convinti che ero una ragazzina ebrea scappata da una casa dalla stella di Davide. Ci mettemmo a parlare in italiano per dimostrare loro che eravamo italiani, ma i poliziotti dissero che gli ebrei sapevano parlare molte lingue. Ci volle più di mezz’ora da parte di mio fratello per convincerli di lasciarmi andare con lui. Fu così che mio fratello mi salvò la vita. Chissà come sarei finita e dove?! Proseguimmo per un paio di isolati ed ecco che ci fermarono dei soldati delle SS. Questa volta era la fine. Ma mio fratello che parlava perfettamente il tedesco rispose con un “Heil Hitler” al loro saluto e mostrò il suo vecchio passaporto scaduto con tanto di fascio. Cominciò a parlare di Mussolini di Hitler e della loro alleanza e ancora una volta ci andò bene. Dopo pochi passi ci fermarono di nuovo. Era la polizia militare tedesca. Di nuovo grandi scambi di “Heil Hitler” e questa volta domandarono a mio fratello se ero sua moglie (a/evo dodici anni, ma ero un po’ altina per la mia età) e lui rispose di no, ma la sorellina. Di nuovo il vecchio passaporto col fascio e la parlantina tedesca di mio fratello fecero il miracolo e ci lasciarono andare. Fatti pochi passi ci fermò la Wermacht, l’esercito tedesco. Questa volta mio fratello in tedesco disse loro, ma insomma siamo stati già controllati due volte da voi. E quelli ci risposero quasi con gentilezza: ma la colpa è vostra: che ci fate in pieno coprifuoco in mezzo al comando generale dei tedeschi a Budapest? Cambiate strada. Noi tutto questo non lo sapevamo, mancavamo dalla città da aprile e non eravamo a conoscenza che all’Albergo Royal c’era il comando generale dei tedeschi. Si può immaginare con quale fretta seguimmo il consiglio di quelli della “Wermacht” ringraziando tutti i santi del paradiso protettori degli incoscienti come noi, per essere ancora liberi. Finalmente alle due di notte arrivammo davanti al portone di mia cugina Hedi, figlia della defunta Ilka, sorella di mamma, la stessa che aveva nascosto i miei genitori prima che mio padre fosse arrestato dai tedeschi e noi internati.
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