Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1954Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Dopo alcune peripezie, Di Staola riesce a effettuare il salto professionale a lungo desiderato. Nel 1957 comincia a lavorare come operaio, non più come contadino, in una fabbrica svizzera.
Praticando i mezzi meccanici del padrone, mi accorsi che in poco tempo li padroneggiavo tutti e così scoprii che la meccanica poteva essere il pane per i miei denti. Questi mezzi mi servirono da stimolo. Mi misi in testa di entrare nella ditta Zellweger AS di Uster. Andai per due volte senza esito, ma non mi rassegnai per quanto riguardava i portieri. Pensai di farci parlare il mio collega svizzero. Lui fu ascoltato; difatti, parlò con un’impiegata all’interno della ditta e trovai le porte aperte. Mi recai dal capo del personale, che mi assegnò un lavoro nel magazzino dei ferri grezzi. Si doveva tagliarlo, sezionarlo, consegnarlo ecc. Per, entrare nell’industria, che significava cambiare categoria, bisognava uscire dalla Svizzera per due mesi. Questa era la prassi per entrare nell’industria. Mi licenziai da contadino e me ne andai in Italia. Mi portai la bicicletta, la spedii via Chiasso, ma non me la sdoganarono e la spedirono a Roma. Appena arrivato a casa, dovetti ripartire per Roma, per prendere la bicicletta. E così tornai in paese in bicicletta, passando per Caccino e Campobasso. In questi due mesi pensai di conseguire la patente automobilistica 2° motore a scoppio e 2° motore diesel, e ci riuscii. Non si sa mai: “Impari e conservi”, così dicevano i vecchi. Per andare a scuola a San Severo c’erano 60 Km: andavo e tornavo, percorrendo 120 Km. C’era anche la stoffa per fare il ciclista di professione, ma questa prospettiva sfumò. Tutto questo durò per tre settimane. Negli ultimi giorni mi affittai una stanza in un ristorante. Quando leggevo la composizione del motore, mi facevo domande e risposte, al punto che il padrone del locale ascoltò dietro la porta e si arrabbiò. Bussò alla porta e mi accusò aver riaffittata la camera. Si mise a cercare la seconda persona, ma non la trovò, finché si calmò e gli spiegai la situazione. Era un caso che non gli era mai capitato. Quello di fare l’autista sotto terzi era anche una possibilità. Passarono i due mesi e tornai in Svizzera, per entrare in fabbrica. La ditta costruiva macchine tessili, radio-trasmittenti, telefoni, macchine da caffè ecc. Arrivai il 14 ottobre 1956 e il giorno dopo iniziò il nuovo lavoro. Mi recai dal mio collega svizzero: lui aveva quattro figli e con tutto ciò mi ospitò per 15 giorni. Mi dette vitto e alloggio, senza pretendere un franco: solo regali. Una famiglia umana e solidale.
Per me questo era un vero svizzero, tenero e rispettoso, comprensivo; però bisogna farsi apprezzare: niente furbizia o malizia, altrimenti è finito. Cercare di essere altrettanto: dar fiducia, ma non abbassare la guardia, perché è difficile trovare uomini veri e che sentono il lato umano. Come al solito, c’é sempre il lucro al primo impatto, cioè il tornaconto; adesso il fatto è molto più accentuata di quasi 40 anni fa. Attendo gli oriundi di fresca data, che godono quando tu soffri; poi ci sono gli xenofobi. Si trovano tra i conservatori, sono inflessibili o odiano quando uno li sprona. Noi diciamo che chi sta bene non si muove e nemmeno vuole muoversi. Nel frattempo cercai una camera in affitto, tramite un conoscente. Trovai una camera in comune, sotto il soffitto. D’estate si moriva di caldo e d’inverno si moriva di freddo, ma quello che mi legava era il loro calore di veri esseri umani. Per me erano dei secondi genitori, mi hanno rieducato. Bisogna dire che anche questi padroni di casa erano della stessa religione del mio conoscente. Si aiutano molto tra di loro, sono molto uniti, perché sono una piccola minoranza. Io rispettavo la loro religione e loro la mia, cattolica. Io ero proprio all'”italiana maniera”: molisano e per 5 di più di un paese con una cultura inimmaginabile. Mi sono potuto chiamare fortunato in questo senso. Nella vita ci sono porte chiuse e porte aperte; non bisogna mai abbattersi, bisogna continuare a sperare, e la speranza è l’ultima a morire. Riguardo al lavoro che svolgevo nella ditta, era pesante e grezzo. Presto mi resi conto che non era fatto per me. Chiesi il trasferimento alle macchine da produzione. Difatti, nel consegnare i materiali nei vari reparti e parlando con gli operai, mi accorsi che c’era gente al di sotto di me e mi detti coraggio per farmi ingaggiare da qualche superiore che ne aveva bisogno. Si lavorava a cottimo, ne ero cosciente, e così trovai lavoro, sulle presse a freddo. Tutto questo accadde nel 1957.
Il viaggio
Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1954Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Giovanni Di Staola
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