Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)La vita di Corrado in Argentina ha preso una piega molto positiva. Lavora come musicista, sta per essere raggiunto dalla fidanzata italiana e ha conosciuto molte persone che lo inseriscono nella vita sociale di Buenos Aires.
Eravamo una cinquantina di ospiti di un famoso personaggio di origine italiana che dirigeva una rivista nella nostra lingua e in quell’occasione, insieme a tanti personaggi noti in quel paese, c’ero anch’io, poiché facevo parte di un’orchestra che si esibiva settimanalmente presso un’emittente radio di Buenos Aires. Era una “cena in piedi” come si usa dire, ma all’aperto, in un immenso “patio” antistante l’ingresso principale di quella casa a dir poco principesca. Gli antipasti e gli aperitivi venivano offerti su immensi vassoi dai “gauchos” al servizio del nostro anfitrione: vermouth italiano, piccoli cubetti di baccalà crudo, arachidi sgusciate e scaglie di parmigiano, fettine di mortadella rigorosamente italiana. Non mancava neppure il prosciutto di Parma. Mentre gustavo quelle prelibatezze, ad una cinquantina di metri da quel grande edificio, due gauchos erano impegnati a cuocere la metà di un manzo secondo la tradizione del luogo: la carne veniva infilzata in un lungo palo di ferro leggermente inclinato e circondata da fuoco disposto a cerchio; ogni tanto i gauchos rigiravano quel mezzo vitellone utilizzando delle funi metalliche rimanendo a debita distanza per evitare di ustionarsi. Ricordo che quando giungemmo al “rancho”, i gauchos erano già all’opera, poiché per cuocere quella quantità di carne, mi dissero, occorrevano circa quattro ore. Quando fu spento il fuoco e le braci allontanate dal palo a cui era fissato l’animale già cotto al punto giusto, venne fornito a ciascuno degli invitati un coltello affilatissimo, unica posata in dotazione in quella cena! Io mi guardai attorno smarrito, cercando di capire come comportarmi. Dopo circa mezz’ora dallo spegnimento di quel rogo, gli invitati, ormai abituati a quella specie di rito, cominciarono ad avvicinarsi al “piatto forte” della serata. Ne tagliavano un pezzo, lo salavano, se lo mettevano fra i denti per un lembo e, con un gesto velocissimo, usavano il coltello dal basso verso l’alto per tagliarne un boccone sfiorandosi la punta del naso.
Io ero l’unico che per la prima volta era coinvolto in quel tipo di festa: ogni tanto tagliavo un pezzo di carne da quella invitante carcassa, ma, dopo essermene messo in bocca un lembo ed averlo addentato, utilizzavo il coltello dall’alto verso il basso, cioè in modo inverso al sistema tipico dei gauchos e questa mia “trasgressione” sollevava le risa degli altri commensali. Dopo quell’abbondante pasto c’era la necessità di lavarsi le mani e per far ciò utilizzammo la pompa di un pozzo artesiano che alimentava l’abbeveratoio dove per l’occasione erano state messe a disposizione decine di saponette e grandi teli per asciugarci. Poi su di un immenso tavolo apparvero decine di bottiglie di vino rosso prodotto nella provincia di Mendoza dove i viticoltori appartenevano ad una comunità piemontese che aveva fatto fortuna con i vitigni portati dal Piemonte; questi vini erano molto ricercati e venivano consumati durante i lussuosi ricevimenti presso le famiglie più in vista dell’Argentina. La festa si concluse all’interno del palazzo dove a noi italiani venne servito il caffè, agli argentini, invece, il tipico “mate”, una specie di infuso che — particolare strano — viene bevuto utilizzando tutti la stessa cannuccia: abitudine che a noi italiani provocava un certo imbarazzo. Un proverbio argentino recita: “Quien no chupa mate no se queda”, ovvero: “Chi non succhia mate un giorno se ne andrà”. Ed infatti per me fu così. Nel Giugno del 1951 fui raggiunto da mia moglie. La mia contentezza era alle stelle! Da quel momento non mi mancava proprio più nulla ! Abitavamo in Calle Doblas e proprio di fronte alla nostra abitazione c’era quella del Maestro Ferri, il mio direttore d’orchestra, pertanto fu facile diventare amici, e questa frequentazione ci consentiva di vagliare assieme le varie offerte che di volta in volta ci venivano fatte, fossero esse trasmissioni radiofoniche, incisioni discografiche o quant’altro.
Il viaggio
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1950Periodo storico
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