Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
ritornoTemi
ritornoCorrado cede alle pressioni della moglie e nel 1953, fa ritorno in Italia. È amareggiato: in Argentina aveva incontrato successo da musicista e un contesto in cui si trovava a suo agio. L’Italia invece, al suo ritorno, gli appare uguale a quando tre anni prima l’aveva lasciata.
Nel frattempo io avevo ripreso la mia attività, sia come orchestrale che come lucidatore, perciò mi trovavo abbastanza restìo ad accondiscendere al desiderio di mia moglie di ritornare – anche solo temporaneamente, diceva lei, – in Italia, tanto più che la mia attività di orchestrale si era fatta così intensa da farmi valutare l’opportunità di dedicarmi solo ad essa, rinunciando a quella di artigiano. Ma dovetti cedere, assecondando il desiderio di tranquillizzare i miei suoceri, ben sapendo che quel ritorno sarebbe stato tutt’altro che temporaneo. L’amico Horacio Ferri, il mio direttore d’orchestra, Rafael Puglisi e Lily di Bari, i validissimi cantanti che collaboravano con noi, venuti a conoscenza della mia partenza e consapevoli che ad essa non sarebbe seguito un ritorno, fecero di tutto per dissuadermi, ma ahimè non vi riuscirono. Decidemmo di trascorrere a Ferrara il Natale del 1953. A render evidente che non saremmo più tornati in Argentina fu il gran numero di amici che ci venne a salutare al porto, troppi per un semplice arrivederci. Così, in un attimo, mi lasciai alle spalle tutto quello che ero riuscito a realizzare a Buenos Aires; tornavo in Italia con i miei portafortuna – il mandolino e la chitarra – . Lasciavo sì l’Argentina, ma di essa portavo con me tutto ciò che mi aveva arricchito, e soprattutto quell’affascinante miscuglio di popoli, razze, etnie e religioni (indios, ebrei , tedeschi, italiani, spagnoli,… ) solo apparentemente inconciliabili, che lì non solo convivevano ma anche costituivano la spina dorsale della nazione ; ciò mi fece capire quanto privo di senso fosse – e tuttora sia – il tentativo di voler tener separate e distinte le diverse genti del mondo, quando queste costituiscono, inevitabilmente, l’unica società cui realmente tutti noi apparteniamo, quella umana. Anche il successivo crollo del regime di Peron, ( che pur governando un popolo per nulla uniforme dal punto di vista etnico era riuscito ad inventare il suo concetto di purezza – quello di “argentinità” ) – , testimonia quanto sia sciocco il tentativo di voler rifiutare che le diversità possano liberamente combinarsi. Col mio ritorno forzato in Italia rinunciavo non solo a tanti amici, ma anche alla musica argentina, che avevo avuto modo di conoscere ed apprezzare soprattutto dal punto di vista delle danze, il tango primo fra tutti, ed anche se oggigiorno sembrerebbe essersi risvegliato un certo interesse per questo genere di ballo, ho l’impressione che ben pochi tra i suoi attuali estimatori sappiano spingersi oltre al suo aspetto esotico, senza quindi addentrarsi negli elementi espressivi più profondi che sono strettamente legati a tutti i passi e movimenti che lo costituiscono; e confesso – anche a costo di risultare un po’ snob – che quando provo a raffrontare questa e tante altre affascinanti e raffinatissime danze sudamericane con quelle attuali che vogliono essere così moderne e coinvolgenti, mi viene un po’ da ridere.
Mia moglie ed io ci imbarcammo sul ” Paolo Toscanelli ” alla volta di Genova. Il viaggio durò trenta giorni, ma nonostante avessi avuto a mia disposizione così tanto tempo, non riuscii a formare una orchestra di bordo. Dovetti limitarmi ad intrattenere i passeggeri eseguendo melodie da me inventate – certamente non dei capolavori – ed in questa attività musicale, cosi ristretta rispetto alle mie aspirazioni e a quanto ero riuscito a fare nel ben più gratificante viaggio di andata, potevo contare sulla collaborazione di un pianista – un connazionale originario di Moncalvo – , e su null’altro. I brani che eseguivamo non è che , come ho detto, avessero un gran senso dal punto di vista musicale, ma nella loro vuotezza erano in perfetta sintonia con quel viaggio che avevo intrapreso – anzi, che stavo subendo – e che appunto mi sembrava privo di qualsiasi logica.
Arrivato a Ferrara la mia prima residenza non fu la vecchia casa di mio nonno, il quale lì ancora viveva con mia mamma e mio fratello, ma quella dei genitori di mia moglie. I dollari che avevo portato con me dall’Argentina ben presto si esaurirono, così che mi trovai di nuovo nella necessità di trovare un lavoro in Italia, visto che di tornare a Buenos Aires, come avevo intuito fin da subito, non se ne parlava neppure. Fortunatamente mia moglie fu assunta nei magazzini Upim, dove era stata impiegata prima di raggiungermi in Argentina, mentre io ero ancora alla ricerca di una occupazione soddisfacente, e trovarla mi riusciva difficile anche perché non avevo voluto aderire a nessuno dei partiti allora prevalenti ; mi risultò subito evidente che da questo punto di vista l’Italia non sembrava gran che cambiata.
Il viaggio
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