Mestieri
consulenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
IndiaData di partenza
1998Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Silvia e Paolo danno uno spessore fuori dal consueto al loro viaggio in India. Visitano il Paese con occhi da turisti, sì, ma non perdono occasione per infilarsi negli interstizi di vita vissuta che le circostanze offrono loro. Una di queste è Anthony, il proprietario di un negozio nel quale si recano per effettuare delle telefonate internazionali, che si rende molto disponibile alla conversazione e li conduce attraverso itinerari inimmaginati.
Di lui abbiamo sempre visto solo il busto incorniciato dal bancone. Sta lì 17 ore al giorno, i gomiti poggiati larghi sul banco come fosse una finestra. Ha un viso sottile, che inclina quando ride, e degli occhiali rotondi troppo grandi, che gli danno un’aria buffa da scolaro d’altri tempi. Alle sue spalle, attaccato a un armadio, un grande adesivo giallo dice: “Dividi il tuo amore col prossimo, perché Dio ti ama”.
Anthony gestisce una tintoria, ma anche un telefono pubblico abilitato alle telefonate internazionali, che è il motivo per cui l’abbiamo conosciuto. Ha trentasette anni e fa questo lavoro da venti, diciassette ore al giorno, sei giorni alla settimana, sette se il sostituto si ammala, perchè la tintoria è aperta anche la domenica. La sua famiglia vive a 35 km da Bombay e la vede solo la domenica, se il sostituto non si ammala. A noi Anthony parrebbe un poveraccio, invece è un “salvato”; emerso dal pantano della miseria può parlarci dei poveri come uno che ne è fuori e che ha delle prospettive: il negozio è in affitto ma il business è suo, non lavora per nessuno, anzi, ha delle persone che di giorno lavorano per lui. La casa in cui vive con sua moglie e con suo figlio è piccola, 20 mq, ma è sua. Sua moglie fa l’insegnante e il bambino va a scuola con lei, poi nel pomeriggio è a casa e può controllare che il bimbo faccia i compiti.
Torniamo a trovarlo la seconda sera, dopo un lungo giro per la città. Ci ha offerto due Pepsi Cola e gli abbiamo raccontato quel che avevamo visto. Lui ha allargato le braccia ed è scoppiato in una delle sue risate che non sono per ridere, ma per sdrammatizzare. Ha un sorriso largo e denti bianchissimi che mettono allegria. Ci ha detto: “Visto? In occidente, con una situazione così, avreste la rivoluzione! Provate ad andare in posto simile in America Latina, o negli Stati Uniti, vedrete se non vi aggrediscono….” Effettivamente è vero: contrariamente a quanto il nostro autista andava ripetendo istericamente, noi non abbiamo percepito alcun senso di pericolo. E’ vero che non siamo mai scesi dal pulmino, ma è vero anche che, imbottigliati nel traffico di carretti, mucche e automobili, siamo stati parecchio immobili; nessuno si è avvicinato, né per curiosità né con aria aggressiva. Avevo l’impressione di guardarli dal cristallo di un acquario. “E’ il karma, sapete cos’è il karma? E’ la legge che regola l’avvicinamento o l’allontanamento progressivo, attraverso vite successive, dell’hindù alla salvezza spirituale, che chiude il ciclo delle vite. Il karma è una legge causa-effetto: se nasci in uno slum e conduci una vita miserevole è perché nella tua vita precedente hai fatto qualcosa che non andava; l’unica cosa che ti resta da fare è accettare la tua condizione e comportarti rettamente, in modo da poter rinascere in una situazione migliore.” Ride gettando la testa indietro: “Bella trovata eh? Così nessuno si ribella…. Io sono cristiano, mi hanno educato i salesiani.” “In questo paese la ricchezza è concentrata in pochissime mani. Dopo l’indipendenza dovevano cambiare tante cose; in parte ne è mancata la volontà, e in parte le strutture sociali del paese hanno fatto resistenza. L’istruzione è formalmente obbligatoria, ma metà della popolazione non sa ancora né leggere né scrivere e la situazione non migliora. Il lavoro vincolato è stato formalmente soppresso da Indira Gandhi negli anni settanta, ma di fatto è ancora presente. Sapete cos’è il lavoro vincolato?” No, non sappiamo cosa sia il lavoro vincolato. “Significa che un proprietario terriero paga i suoi contadini una cifra miserevole, sufficiente appena alla sopravvivenza. Per rispondere a qualche bisogno in più, cure mediche, le spese la dote e il matrimonio della figlia, i contadini contraggono debiti con lui e pongono come garanzia il loro lavoro: lavoreranno per lui finchè non li avranno pagati. Non riusciranno mai a pagare quei debiti e, anzi, li accresceranno. Se muoiono senza aver ripagato il debito, questo viene ereditato dal primogenito. Sono famiglie che finiscono per appartenere al proprietario terriero, una forma di schiavitù. In passato era legittimo che il proprietario terriero potesse punire con la morte il contadino che tentava la fuga. Ora il lavoro vincolato è stato formalmente abolito e ovviamente questi omicidi costituiscono un reato, ma questo non significa che non avvengano ancora”. “Per eliminare la radice del lavoro vincolato, negli anni ’70 il governo distribuì parte delle terre fra i contadini, ma gli appezzamenti di terreno erano talmente piccoli da bastare appena per la prima, forse la seconda generazione: quando il padre divideva il terreno fra i figli maschi gli appezzamenti si riducevano, via via per le diverse generazioni, fino a ridursi a fazzoletti inservibili, che vengono ricomprati per pochi soldi dai proprietari terrieri. ”
Si ferma un attimo, riprende fiato e cambia argomento: “Voi occidentali avete dell’India un’immagine romantica e distorta….. l’India, il paese dello spirito! Questo è un paese dove non esiste alcun rispetto per la vita! Sentite cosa vi racconto: uno zio di mia moglie un giorno è stato ricoverato per un attacco di appendicite. Le cliniche private devono riservare per legge un certo numero di letti ai meno abbienti, e lui è stato ricoverato lì. A sua insaputa, oltre all’appendice, gli è stato prelevato anche un rene, che deve essere poi stato venduto dal chirurgo sul mercato internazionale degli organi. Lo zio di mia moglie è uscito dall’ospedale, e dopo un po’ di tempo è tornato a lavorare. Faceva un lavoro di fatica. Sono passati pochi giorni ed è stato nuovamente ricoverato in ospedale per un malore. Dopo qualche tempo è morto; quando gli hanno fatto l’autopsia si sono accorti che gli mancava un rene” “E la famiglia non ha denunciato il chirurgo?” Ride. “Figurati! La vedova è una povera donna ignorante; ha raccolto le cose del marito ed è tornata a casa”. Appoggia le braccia sul bancone e si sporge verso di noi: “Questo è un paese che ha perso la sua anima.”
Più avanti abbiamo verificato alcune delle cose che Anthony ci aveva raccontato. Per fortuna pratiche quali quella del lavoro vincolato non sono più diffuse in tutta l’India, anche se è vero che permangono in alcune zone degli stati più poveri e arretrati del paese, quelli dell’Uttar Pradesh e del Bihar, lungo la valle del Gange. Oltre che dalla miseria, dall’ignoranza e dalla violenza, queste regioni sono segnate anche dai disastri naturali: nei mesi che abbiamo trascorso in India il Gange è straripato, creando una delle peggiori inondazioni degli ultimi 50 anni. Solo in Uttar Pradesh sono morte 1.350 persone. Il telegiornale ha dato la notizia senza commentarla, poi ha dedicato un servizio di dieci minuti al problema del salvataggio degli animali in un parco naturale colpito dall’inondazione, con dovizia di particolari sulle specie maggiormente a rischio e sulle tecniche usate per portarli al sicuro.
Invece è vero che l’India ha fame: l’Unicef ha pubblicato in questi mesi un rapporto nel quale si dice che il 53% dei bambini indiani è malnutrito, una percentuale maggiore a quella dei paesi africani dell’area del Sahara, e che il 50% dei bambini malnutriti nel mondo è concentrata in tre soli paesi: Pakistan, India e Bangladesh. Una buona parte di questi bambini nasce già malnutrito, a causa della dieta insufficiente della madre. Il 35% dei bambini indiani nasce con un peso inferiore ai 2.5 chili. La malnutrizione pare essere uno degli aspetti fondamentali della povertà in India: utilizzando come indicatore di ricchezza la quantità di calorie ingerite quotidianamente, risulta che quasi il 40% della popolazione indiana si trova al di sotto o sulla soglia di povertà.
Il viaggio
Mestieri
consulenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
IndiaData di partenza
1998Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Silvia Melloni
Una distesa di slum
14 agosto, Bombay Guardiamo oltre il finestrino e ci sembra di atterrare sui tetti delle baracche: l'ultima...
Il pollo del deserto
Nabav è un ragazzo semplice, ma ha modellato il suo comportamento sull'attività a contatto coi turisti...
A casa di Jean
8 settembre Ha quarant'anni ma ne dimostra meno di trentacinque, è famoso, ha scritto due libri con...
Incontri e confronti
18 settembre Li andiamo a prendere nella guest house dove sono alloggiati, a poche decine di metri...